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Il collaudo in corso d’opera nelle impermeabilizzazioni

Abbiamo spesso discusso di come fare per controllare il processo di realizzazione di un’opera impermeabilizzativa. Abbiamo detto che è fondamentale che vi sia la giusta scelta del materiale, la giusta scelta del posatore e la giusta scelta del progettista. Certo, senza questi tre ingredienti è impossibile avere un sistema a tenuta veramente funzionante nel tempo.
E’ ora di cominciare ad entrare più nel dettaglio nel funzionamento di questi processi decisionali che portano una copertura ad non subire infiltrazioni d’acqua.

Le scelte del progettista non servono solo a creare un capitolato, ma devono anche essere durature nel tempo e portare dei benefici ben oltre le garanzie richieste dalla legge. Se un’impermeabilizzazione deve essere garantita 10 anni, non vuol dire che non ne possa durare 100. A questo servono i mesi passati dai professionisti a ricercare, studiare e testare i materiali che verranno posati nelle coperture.

Troppo spesso questa scelta viene delegata all’ufficio tecnico del produttore di impermeabilizzanti, o peggio all’agente commerciale. Nulla da dire su queste figure ma il loro scopo non è quello di realizzare il miglior strato impermeabilizzante possibile ma quello di posare il miglior prodotto fatto nella tal fabbrica, per il primo, o vendere il più redditizio per il secondo. Se siamo fortunati le scelte, filosoficamente diverse, coincidono, altrimenti ci troviamo ad aver buttato via del denaro inutilmente.

Per questo è importantissimo che la scelta delle tecnologie da applicare venga riportato in progettazione e messa in mano all’architetto o all’ingegnere o al geometra di turno.

Purtroppo abbiamo visto che la vastità del panorama dei prodotti in commercio potrebbe solo far perdere l’orientamento al progettista che, trovandosi decisamente confuso, ricadrebbe nell’errore iniziale di delegare al produttore di fiducia le sue scelte; ma se ne prenderebbe le responsabilità.

Per questo si rende necessario introdurre delle figure altamente specialistiche che abbiano la funzione principale di eseguire le scelte in nome e per conto del progettista, coadiuvandolo nelle scelte e guidandolo nei percorsi intricati dei corridoi del mondo delle impermeabilizzazioni.

Questi consulenti (effettivamente non esiste una figura tipica che faccia questo mestiere) devono essere altamente specializzati e conoscere tutte le tecnologie a disposizione, non solo per aiutare nella progettazione, ma anche per poter seguire le fasi di posa.

Il codice degli appalti, attualmente in vigore, ci dice che nei lavori pubblici (e noi lo mutuiamo anche per quelli privati) è necessario che le operazioni di realizzazione dell’opera edile siano seguiti da una figura detta Direzione Lavori. Questi deve essere un professionista iscritto all’albo di appartenenza.

Ora, per semplificare le cose, faremo finta che sia una normativa unica nazionale e, quindi, unica via da percorrere. In questo caso ci troveremmo con dei progettisti che, per quanto bravi e preparati, non sono in grado di seguire ogni tipologia di lavorazione. Per questo vi è la possibilità di introdurre degli aiuti: i collaudatori in corso d’opera. L’articolo 215, al comma 4 ci dice che il collaudo in corso d’opera è necessario in un determinato tipo di situazione; in particolare anche quando <<b) in caso di lavoro di particolare complessità di cui all’articolo 236>>, ossia i lavori di particolare difficoltà tecnica.

Sicuramente qualcuno potrebbe obiettare che le impermeabilizzazioni lo siano, anzi, sono sicuro che la maggior parte di coloro che leggeranno questo articolo lo penseranno. Alcuni lo faranno in quanto professionisti specializzati, che fanno solo questo di mestiere; altri per arroganza, altri semplicemente per sentito dire. Rimane che le impermeabilizzazioni sono una delle parti fondamentali di un edificio. Senza questa protezione fondamentale, tutti i calcoli ingegneristici che vengono eseguiti per far lavorare correttamente una struttura, scemeranno in un cumulo di macerie dopo pochi anni dalla sua realizzazione.

Quindi, tornando a noi, la legge già prevede che ci sia una figura professionale che possa coadiuvare la D.L. Nel controllo della realizzazione delle opere impermeabili.

Occorre a questo punto definire in maniera chiara e precisa alcuni concetti che saranno poi fondamentali per l’elaborazione e per il rispetto dei protocolli di posa e di verifica dei lavori.

Una piccola premessa è a questo punto necessaria, e ci sarà utile tenerla a mente anche in futuro, per capire meglio le difficoltà che si dovranno man mano affrontare.

Dieci anni di garanzia, perché?

Il concetto, quasi sempre mal interpretato, che le opere di protezione e di impermeabilizzazione debbano durare dieci anni è fondamentalmente sbagliato, sia dal punto di vista teorico che pratico.
Se andiamo a comprare una Ferrari nuova fiammante, il produttore della vettura (che dal punto di vista tecnologico è ben più complessa di un’opera impermeabilizzativa) ci garantisce il bene venduto per due anni dalla data di acquisto. Ciò non significa che la vettura Ferrari per la quale abbiamo speso cifre molto consistenti, dopo due anni può tranquillamente cadere a pezzi o esplodere perché “tanto la garanzia è scaduta”.
No. Il significato di garanzia è ben diverso.
Garanzia significa che il bene acquistato è funzionale all’impiego previsto e che nel periodo di tempo programmato non deve manifestare danni o difetti che ne possano pregiudicare l’utilizzo.
Si assume perciò il concetto (sia per la Ferrari che per l’opera di impermeabilizzazione), che il bene acquistato debba durare molto, ma molto più a lungo del termine di garanzia, e che entro questo periodo tutti le incombenze derivanti da danni o difetti siano a carico del produttore (vedi Ferrari) o di chi ha realizzato l’opera (vedi lavoro in opera).
È legittimo aspettarsi che un lavoro di impermeabilizzazione correttamente realizzato possa, anzi debba, tranquillamente durare quarant’anni e più, e non solo dieci anni e un giorno. Anche perché le opere edili sono progettate e costruite per garantire la propria funzionalità per tempi variabili dai quaranta ai duecento anni e oltre.

Ora che abbiamo dato un piccolo cenno all’importanza dei lavori che si andranno a realizzare, si dovranno definire in maniera precisa alcuni criteri di riferimento per le future considerazioni e conclusioni.

Prestazione di un’opera
Il concetto è molto spesso poco o per nulla compreso. Le domande sono: a quali sollecitazioni (fisiche, chimiche e biologiche) deve resistere? Una copertura piana di 10.000 mq completamente esposta avrà necessariamente delle richieste di prestazione diverse rispetto a un balcone.

Sicurezza dell’opera
Che cosa devo proteggere? Se l’edificio contiene delle opere d’arte di valore inestimabile, come ad esempio un museo, i criteri di progettazione e di realizzazione dei lavori saranno diversi rispetto a quelli che si adottano per un tetto di un box auto.

Possibilità o meno di manutenzione
Alcune opere sono manutenzionabili, come ad esempio una copertura a vista, altre no, come quelle interrate o ricoperte con massetti e pavimenti. Ovviamente (ma mica tanto), andranno studiate e affrontate in maniera completamente diversa.

Durabilità
Quanto tempo deve verosimilmente passare prima che l’opera sia “esaurita”? Ovvero qual è il tempo per il quale realisticamente posso considerare che l’opera assolva al suo compito prima della sua ricostruzione? Ad esempio, secondo una vecchia ma ancora valida regola della SAE (Society of Automotive Engineers) i motori automobilistici vengono progettati per durare 150.000 miglia, ovvero circa 240.000 km. Ma questo non significa che tutti i motori durano almeno o soltanto ciò che è stato previsto in progetto.

Il collaudo in corso d’opera è un’attività ispettiva di lavori particolarmente importanti o complessi che richiede il controllo continuativo o comunque molto frequente dei lavori, da parte di un soggetto avente esperienza in quel determinato settore.

Quando avevo la mia impresa di lavori in opera, ho svolto degli interventi di notevole complessità e difficoltà in ambienti dove un semplice errore avrebbe comportato dei danni enormi, come ad esempio quando nel 2001 abbiamo realizzato l’impermeabilizzazione della piscina sospesa del Yacht Club Porto Cervo, per conto del Principe Karim Aga Khan.
In quelle occasioni il Committente affidava ad un suo incaricato il controllo a vista continuativo dell’intero intervento, dall’inizio alla fine.
Successivamente, avendo valutato quanto tale attività fosse vantaggiosa, perché con questa modalità di controllo e verifica le possibilità di errore diventavano bassissime o nulle, ho iniziato a proporlo ai clienti come servizio.
Dopo alcune sperimentazioni su lavori di piccola entità, ho strutturato meglio il tipo di servizio offerto.

Il primo lavoro importante di collaudo in corso d’opera che ho svolto personalmente è stato quello della riqualificazione strutturale della torre di controllo dell’aeroporto di Olbia sotto sorveglianza ENAV, in occasione della sua sopraelevazione dalla quota di m 30,50 a quella di m 46,50. Vi era la necessità di aumentare la resistenza di otto travi in ca esistenti tramite inserimento di nuove armature e ispessimento con malte ad alta resistenza.
Tutto si è svolto secondo programma, con ampia soddisfazione del Committente, della DL e dell’Impresa, nonché del sottoscritto, infatti il mese dopo mi affidarono lo stesso incarico per un lavoro analogo alla torre di controllo dell’aeroporto di Alghero.

Si tratta di un servizio di verifica e controllo, comprendente la compilazione di alcuni report sia cartacei che fotografici, raccolti poi in un fascicolo, dove tutti gli elementi utili dell’opera vengono fissati e memorizzati per il futuro. È un’attività che in molti casi può essere svolta anche da tecnici non esperti, sotto la supervisione di uno più qualificato.

 

Marco Argiolas

Arcangelo Guastafierro

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Impermeabilizzazioni

Le malte cementizie elastiche – l’estinzione

Sono giorni che sto provando in ogni modo a trovare un sistema per salvare le malte cementizie elastiche. Studio di schede tecniche, dialoghi con tecnici ed operatori, ristudio delle schede e di sicurezza ma non riesco a trovare una via d’uscita. Mi sento di affermare che le malte cementizie elastiche sono un prodotto più dannoso che altro.

Partiamo con calma e seguitemi nel ragionamento: le malte cementizie elastiche sono un prodotto bicomponente o monocomponente formato da una matrice cementizia e da una resina di origine ignota (Acrilica o vinilica, di solito), non perchè non abbia un’origine, ma perchè nessuno lo specifica da nessuna parte.

Primo distinguo: non sono elastiche, sono plastiche.

Ci sono tantissimi operatori che giurano e spergiurano che i loro lavori sono perfetti, che i terrazzi fatti con la malta cementizia elastica non hanno problemi e che nessuno si MAI lamentato. Sapendo che i muratori sono parenti molto stretti dei pescatori, ovviamente prendo queste affermazioni con le pinze e ritengo che in fondo, ma molto in fondo, qualche cenno di verità ci sia. Per questo posso affermare che deve esistere un sistema per impermeabilizzare un balcone con la malta cementizia elastica e far sì che duri 10 anni.

Analizziamo le criticità del materiale. Per fare questo passaggio dobbiamo cercare i punti in comune di tutti i prodotti simili che ci sono sul mercato. Innanzitutto la preparazione del supporto: questo deve essere liscio, planare, coerente, con la giusta pendenza, pulito e, soprattutto, ASCIUTTO.

  • Liscio: vuol dire che non deve avere grosse asperità (concessa la fuga della mattonella) e se non è così devo prendere una malta che mi permetta di colmare le asperità fino a rendere liscio il supporto… ovviamente liscio vuol dire liscio, non vuol dire con le onde ed il surfista che le cavalca….
  • Planare: il piano da impermeabilizzare deve essere tutto sullo stesso piano, quindi nessun gradino tra un punto e un altro, non ci devono essere riseghe o buchi o canali etc.;
  • Coerente: beh sembra facile, ma coerente vuol dire che rimane compatto. Non che si sbriciola dopo due giorni, che il supporto rimane aggrappato a sé stesso!!!!!
  • Con la giusta pendenza: la pendenza è fondamentale. Se non è perfetta prima o poi l’acqua ristagna. Ma cosa vuol dire avere la giusta pendenza per 10 anni? Ovviamente avere uno strato perfettamente liscio che porti l’acqua fino ad un punto predeterminato. Ma i massetti, le maltine, i pavimenti, le caldane (insomma, tutto quello che dobbiamo impermabilizzare) subisce dei ritiri, subisce delle sollecitazioni e dei deterioramenti. Immaginatevi un bel piano perfetto, liscio come un biliardo, con una pendenza del 2,5% perfettamente costruita dove il proprietario decide di mettere un vaso in cemento da 2 metri cubi e un baobab dentro… secondo voi la pendenza rimane costante nel tempo?

    Quindi la pendenza deve rimanere integra e costante nel tempo.

  • Pulito: il supporto da trattare deve essere esente da grassi, sporco, distaccanti vari, solventi, coloranti e chi più ne ha più ne metta, cioè da tutto ciò che può creare un distacco fisico o un’alterazione chimica del manto impermeabile. Se alcuni di questi rimangono… beh non è stato pulito a dovere. A volte pulire può voler dire agire meccanicamente raschiando la superficie fino a togliere le zone troppo sporche per essere pulite chimicamente (fino all’estremo di togliere e rifare il supporto).

    Attenzione: bisogna pulire anche dai residui di agenti chimici usati per pulire….. è un cane che si morde la coda, ma se uso degli acidi…. ovviamente questi continueranno ad agire fino a fare dei danni su qualsiasi cosa ci metta sopra in aderenza.

  • ASCIUTTO: qui casca l’asino. Troppo spesso, anzi direi quasi sempre, le schede tecniche dicono che il supporto deve essere asciutto. Ma asciutto cosa vuol dire visto che non è specificato? Non più del 4% di umidità al cuore del supporto. Questo vuol dire che dovrete prendere un igrometro, fare un buco nel supporto e misurare l’umidità nel suo punto più bagnato. Eh già! Non avete altro modo per farlo!

Di seguito bisogna valutare le tecniche di posa. C’è chi dice che non si possono posare più di 2mm alla volta, c’è chi dice che non si possono posare meno di 2mm alla volta, c’è chi non dice nulla, c’è chi dice che serve l’armatura, chi dice che non serve, chi ne vuole una fucsia, chi una rete, chi un tnt…. insomma in questo punto vi è la fumosità totale e un posatore non fa altro che supporre che quello che fa lui possa andare bene.

Attenzione: spesso i corsi tecnici fatti dalle aziende dicono una cosa, i manuali altre…. ci si può fidare solo dei manuali e schede tecniche (Scripta manent)

Come dovrebbe essere posata una malta cementizia elastica? Uno solo è corretto: in modo uniforme, senza bolle e su tutta la superficie; maggiore importanza deve essere data dallo studio e la cura dei dettagli! Bisognerà ricordarsi che una buona impermeabilizzazione deve essere posta al di sotto dell’intonaco o del rivestimento verticale. Nel caso non lo vogliate fare potete impermeabilizzare tutto il muretto fino a risvoltarvi all’estradosso del pavimento (non scherzo……. l’acqua può penetrare anche da sotto). Facendo così avete coperto ogni punto in cui può esservi un’infiltrazione, ma non è detto che esteticamente sia ottimale; inoltre avrete posto il manto impermeabile cementizio a vista e, quindi, a contatto con gli agenti atmosferici di ogni tipo.

Altra buona norma è quella di andare a sostituire il materiale cementizio con altri idonei nei punti critici: angoli, giunti, bocchettoni, etc. In questi casi ci sono dei supporti appositi che vanno usati. Il problema nasce quando questi supporti non sono in totale aderenza con il manto cementizio, ma vi è un punto di disgiunzione. Le sollecitazioni meccaniche verranno sicuramente rette dall’ausilio, ma creeranno le stesse criticità al manto cementizio stressandolo.

Uno di questi ausili, che nel tempo è stato lentamente sostituito, è la banda formata da un centro elastico in gomma EPDM ed una rete di vetro (o poliestere o altro) sui lati; la banda elastica si agganciava al sistema impermeabile nella sua parte retinata e non nella sua parte in gomma. Lo scopo era quello di resistere ai movimenti dei supporti dove era richiesta elasticità. Purtroppo la rete di aggancio era più debole della parte elastica e si snervava prima che la parte centrale si allungasse…. con conseguenti infiltrazioni date dalle crepe formatesi sulla malta cementizia. Da un po’ di tempo (e qui mi prendo un bel po’ di merito nella scelta del materiale… che a casa mia ho usato 13 anni fa quando i produttori mi diedero del cretino) si è sostituita questa bandella particolare con un nastro in butile autoadesivo ricoperto da un tessuto non tessuto. Sicuramente è uno stratagemma migliore e risolve moltissimi punti a sfavore del precedente ausilio, se non fosse che nessuno spiega quali sono le criticità del butile: non è elastico ma plastico; fin quando si parla di piccole dilatazioni (ordine di millimetri, 1 o 2) non ci sono problemi, ma quando i movimenti supportati possono agire con dilatazioni maggiori, anche il butile si snerva. Inoltre, per la legge sulla conservazione della massa, se un corpo si allunga in una dimensione deve per forza accorciarsi nell’altra dimensione … e cosa succede se lo si stressa troppo? una parte si stira fino a diventare troppo sottile e… la malta elastica crepa e crea infiltrazioni

Le soglie sono sempre e comunque il punto più critico da trattare. La tipologia di soglia con le sue naturali dilatazioni, la tipologia di ausili utilizzati che spesso rifiutano le malte cementizie le pongono in particolare come la maggiore criticità per un sistema cementizio elastico.

Questo elenco che ho fatto è frutto di tanta esperienza e dialoghi fatti con gli studi tecnici delle aziende che producono tali materiali. Ma quanti impermeabilizzatori sanno o hanno mai chiesto qualcosa riguardo questi punti nevralgici?

Tutti coloro che posano malte cementizie elastiche, e non sono impermeabilizzatori, hanno mai preso in considerazione la loro scheda tecnica nella sua interezza? Hanno mai preparato il supporto come va fatto? Sanno che si prepara il supporto?

Scusatemi se posso sembrare esagerato, ma la mia risposta è NO. O meglio, quelli che lo fanno sono talmente pochi da non fare statistica. Del resto non viene neanche riconosciuto a nessuno il quid necessario a svolgere le operazioni di preparazione, quindi …. beh, tanto sono materiali miracolosi!!!

Questione commerciale: le malte cementizie elastiche sono un materiale che è stato messo in mano a chiunque, con una distribuzione particolarmente polverizzata ed una concorrenza spaventosa che ha portato all’impoverimento del prodotto, all’ignoranza totale degli operatori che sono convinti che il materiale faccia il lavoro da sè. Il massimo degli obrobri è stata l’introduzione delle magiche malte cementizie elastiche monocomponenti.

Inutile che diciate che funzionano perchè non è vero! E sapete che voi che le posate vi candidate a pagare una valanga di danni senza averne la più pallida idea né di quanto né di quando?

Eccovi la motivazione principale che dovrebbe farvi scappare via davanti a questo prodotto: tutti i dati che andate a leggere sulle schede tecniche sono stati rilevati con una miscela precisa al centilitro di acqua (non con il tubo in cantiere) e con acqua distillata (sempre non con il tubo in cantiere). Quindi il prodotto che andate a posare è diverso da quello che pensate di posare e da quello che leggete in scheda tecnica!

Quanto conta l’acqua in un impasto cementizio? Tutto! Se nell’acqua ci sono inquinanti di qualsiasi natura (dal calcare tipico, al ferro, al manganese, al potassio, al petrolio, alle scorie radioattive etc.) la malta cambia le sue prestazioni in modo radicale. Questo nella scheda tecnica non lo trovate scritto quindi, se avete qualche soldino da parte, cominciate a contattare un buon avvocato ed un buon perito chimico che vi preparino le cause che andrete ad affrontare.

Insomma, in ultima analisi: le malte cementizie elastiche hanno avuto uno scopo (a dire il vero quello originario ancora ce l’hanno) ma il mercato le ha talmente snervate e buttate nella mischia, che oggi è quasi impossibile trovare un prodotto di buona qualità che abbia la minima speranza di durare i 10 anni che la legge impone inoltre le operazioni preliminari necessarie sono impossibili da realizzare in cantiere se non a costi decisamente esagerati.

Il punto è sempre quello: se avete una malattia andate dal medico, perchè se dovete impermeabilizzare chiamate un imbianchino?

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Conoscere i materiali per le impermeabilizzazioni

Continua la collaborazione editoriale con Prontopro.it.

Questa volta spieghiamo, molto brevemente per motivi redazionali, quali sono le principali tecnologie impermeabilizzative e come capire se sono giuste o sbagliate.

L’articolo è leggibile a questo indirizzo: https://www.prontopro.it/blog/impermeabilizzazioni-conoscere-i-materiali-utilizzati/

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Attenzione ai falsi profeti

Oramai iniziare un articolo sulle impermeabilizzazioni sta diventanto sempre più difficile senza scadere nella retorica e nel qualunquismo. Ma il problema del nostro tempo è proprio che viviamo di retorica e qualunquismo. In particolare è il qualunquismo che mi preoccupa.

Siamo talmente abituati a vederci proclamare azioni mirabolanti che ci aspettiamo sempre il miracolo da chiunque ci venga a fare un lavoro.

Non è così, signore e signori! I miracoli li ha fatti un tizio che è morto circa 2000 anni fa! Da quel momento sono stati sempre più rari… e mai più hanno riguardato un problema di acqua (ricordiamo le nozze di Canaan, dove l’acqua venne tramutata in vino….. non male come miracolo).

Allora ci affidiamo alla pubblicità perchè non siamo in grado di giudicare prodotti e imprese! Se poi ci mettiamo che alcuni personaggi vogliono anche essere pagati per valutare lo stato del nostro tetto, piuttosto che del nostro terrazzo…… CHE LADRI!

Per poter fare una scelta sui materiali cominciamo a scremare quelli che possiamo aver sentito, in qualsiasi modo, differenziandoli in: sconosciuti (quindi non mi ci avvicino, se non sono obbligato) e conosciuti (ah, questi sì che sono buoni). Poi chiamiamo l’amico del cugino del fratello della parrucchiera dell’estetista del giornalaio della mia vicina di casa per poter ricevere la luce su ogni tipologia di impermeabilizzazione, ovviamente gratis! E facciamo ulteriore scrematura in: marchi che conosco io e lui e marchi che nessuno dei due conosce.

Dato per assodato che i marchi sconosciuti sono il diavolo in persona, perchè siamo talmente pigri che non vogliamo andare a vedere di chi si tratta, adesso dobbiamo scegliere l’impresa che li applicherà. Ovviamente anche in questo caso non mancheremo di andare a sondare tutti coloro che siamo in grado di conoscere. Ma come scremiamo la montagna di personaggi che ci investe: ovviamente con lo stesso metodo di ogni persona intelligente: l’amico dell’amico dell’amico! In fondo mica ci interessa il curricula della persona, o il titolo di studio o le abilitazioni o gli anni di culo che si è fatto studiando le problematiche di cantiere sporcandosi le mani insieme agli operatori. No, molto meglio l’amico dell’amico dell’amico che arriva e ci dona il suo verbo: il mapelastic! (ora anche turbo) perchè ricordiamoci che il mapelastic è buono anche per fare il brodo!

Ora mi domando: ma la Mapei perchè ha un catalogo così grosso? Ci sarà altro oltre al mapelastic? E tutti gli altri che danno soluzioni diverse, perchè le danno? Ci sarà un motivo! No, il qualunquismo ci pervade la mente e ci fidiamo molto più della pubblicità che di un tecnico che non riteniamo giusto pagare.

Bene, vi voglio raccontare una storia di come le cose possono essere fatte bene, pagate il giusto (ad ogni operatore della filiera) e costate il giusto.

C’era una volta la signora Maria che aveva una perdita nel terrazzo di casa. Era solita lavare molto bene il terrazzo (effettivamente non v’era traccia di sporco) con la candeggina mischiata al viakal. Dopo qualche anno il vicino di casa lamentò qualche problema all’interno del suo appartamento: quando pioveva iniziavano a vedersi strani aloni che, nel tempo, divennero gocce che cadevano sul tappeto persiano donatogli dallo scià di Persia.

La signora Maria si rivolse, allora, alla persona a lei più vicina per risolverle il problema (il famoso amico dell’amico) che disse: bisogna demolire tutto senza attendere oltre, o l’orco dell’acqua continuerà a bagnare di sotto.

Il terrazzino della signora Maria (90mq) venne ribaltato da cima a fondo e venne ripristinata l’impermabilzzazione con una guaina bellissima, tutta nera in rotoli magicamente arrivati al quinto piano.

Peccato che, dopo aver rifatto il lavoro, l’orco dell’acqua tornò e ribagno anche il piano di sotto… ma questa volta non si parlava di gocce, ma di fiumi d’acqua che bagnarono anche i mobili, le suppellettili (sempre regalate dallo scià di Persia) e tutte le persone che ci abitavano.

Strano, disse la signora Maria, ho chiamato un tecnico che lavora per la ditta Guainetti de’ Impermeabilizzanti. Il miglior produttore che conosca (nonché l’unico) di questi materiali. Com’è possibile?

Arrivò, a questo punto, il pifferaio impermeabilizzativo che notò una cosa che al grande genio non era saltato all’occhio: la soglia era in contro pendenza ed era posizionata male. A questo punto, colto da grande tenerezza per la signora Maria, decise di far intervenire un piccolo gnomo della foresta delle Guaine che staccò la soglia e notò che la guaina non era stata posizionata bene. Allora il pifferaio impermeabilizzativo e il piccolo gnomo della foresta delle guaine sistemarono correttamente la soglia e al piano di sotto non piovve più.

A questo punto il pifferaio impermeabilzzativo fece una cosa che nessuno si sarebbe mai aspettato, disse: mia cara signora Maria la mia parcella è di 300,00€.

La signora Maria si scandalizzò per l’esosità della richiesta (in fondo ne aveva spesi solo 50.000,00 per rifare tutto) dicendo: ma scusi, lei in fondo non ha mica fatto tanto.

Bene la morale, come diceva la pubblicità, è sempre quella: ma cara signora Maria…. chi le ha risolto il problema? Non è giusto pagare il giusto? (la storia è vera e i nomi, ovviamente, sono stati alterati per non violare la privacy della signora Maria e del famoso tecnico).

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The RESIN horror pictures show

Prima di cominciare la lettura dell’articolo vorrei fare come i grandi scrittori: inizio con i ringraziamenti. Ad Umberto Golfarelli, mio correttore di bozze, mio collega, mio compagno di merende ma soprattutto mio amico. Grazie a lui l’articolo è più leggibile e corretto del solito.

 

Negli ultimi anni si stanno facendo sempre più impermeabilizzazioni con le resine poliuretaniche. Straordinarie! Ovviamente se utilizzate con i giusti accorgimenti.

Innanzitutto ricordiamo che le regole delle impermeabilizzazioni sono le stesse per tutti i materiali: adesione al supporto (totale aderenza, fissaggio meccanico, zavorra, etc.), risvolto che deve essere almeno 15 cm sopra il piano di calpestio, gli angoli vanno resi performanti (non per forza rinforzati, in quanto dipende dal materiale usato), gli scarichi vanno sempre rifatti e resi ispezionabili. Insomma le solite regole di chi fa o rifa un’impermeabilizzazione.

In particolare le resine poliuretaniche si stanno rivolgendo sempre più a due categorie di coperture: i terrazzi (e balconi), dove sfruttano la loro capacità di essere trasparenti e quindi di non cambiare l’aspetto del piano della copertura, e i parcheggi o solai pedonabili, dove si sfrutta la grande resistenza meccanica della resina posata che può permettere (in alcune occasioni) l’uso dei poliuretanici come strato a tenuta e pavimentazione carrabile.

Purtroppo, però, anche in questo settore specifico si è arrivati a mettere i prodotti in mano o a posatori non specializzati o, peggio, a personaggi che mirano solo ed esclusivamente al guadagno diretto sul lavoro risparmiando sul materiale.

Con questo articolo vorrei parlare di un intervento, piuttosto importante come metratura, eseguito non certo a regola d’arte; si tratta del parcheggio dell’IPERCOOP CENTROBORGO di Bologna; eseguito tra l’Agosto e il Settembre 2015 e di cui non ricordo con precisione il nome dell’impresa applicatrice

Se si guardassero i risultati del lavoro verrebbe voglia di dare la colpa alla tecnologia, mentre spesso è l’applicatore che non ha fatto ciò che doveva o la progettazione che non conosceva perfettamente la tecnologia o la Direzione Lavori che non ha realmente diretto il cantiere.

Il cantiere è il parcheggio sopraelevato compreso il corsello che porta verso l’entrata del primo piano del centro commerciale.

Per prima cosa i giunti di dilatazione devono essere gestiti in modo tale che le forze che vengono esercitate non influiscano sullo straerrore d'impermeabilizzazioneto a tenuta, o che questo possa resistervi. Come si può vedere l’impermeabilizzazione è stata tranciata; lo strato di armatura che è stato inserito nell’angolo di un palo in prossimità di un giunto non ha fatto il suo lavoro o le forze che si sono espresse erano decisamente più forti della bandella. Si può ben vedere anche che lo spessore totale della resina non raggiunge il millimetro di spessore, potremmo dire che non è più che una verniciata a rullo.

Dall’aspetto esterno sembra sia stato usato un nastro di rinforzo spesso, mentre, dalla spaccatura, si evince che altro non era che un probabile tnt in fibra di vetro che non ha retto alla tensione, anche perché il vetro ha una resistenza alla trazione molto vicina allo 0.impercoop errori impermeabilizzativi

In questa foto si può vedere un altro errore che, più che lo strato impermeabilizzante, riguarda la copertura del giunto di dilatazione.

Come vedete è stato fissato su entrambi i lati del giunto (al centro della foto il primo fissaggio e se ne vede una parte nell’estremo destro) evitando che si possa muovere liberamente.

 

 

 

ipercoop errori impermeabilizzativiE visto che oggi non sono buono vorrei anche far notare come non si installa la protezione al giunto in adesione con il palo impermeabilizzato. Se la copertura metallica pedonabile non ci sta, bisogna tagliarla fin quando questa non sarà a misura. Non demolire lo strato a tenuta. Questo fatto ci conferma l’indizio precedentemente visto: la fascia di rinforzo del verticale altro non è che una fibra di vetro e lo spessore è minimale, tale da non avere una minima resistenza al punzonamento.

 

 

ipercoop errori impermeabilizzativiPer non dare contro l’applicatore bisogna ricordargli che se non si può andare sotto una zona o vicino ad una zona esposta alle intemperie, è necessario provvedere diversamente. In questo caso la parte bianca che si vede sotto, nella foto, è una rampa d’accesso per disabili posta su piedini che poteva essere tranquillamente rimossa e totalmente impermeabilizzata.

Cominciamo a spostare il giudizio da colposo a doloso!

Per non perdere tempo nel smontare la pedana ci si è fermati lì… in fondo non è importante, ma intanto sotto piove!

ipercoop errori impermeabilizzativiNulla da dire per quanto riguarda la possibilità di manutenere il manto impermeabile che se eseguito con resine è a vista. E’ importantissimo che questo sia ispezionabile in ogni sua parte e manutentabile in ogni sua zona di posa. Quel muro che vedete nella parte bassa è una fioriera in cemento del peso di diversi quintali… mi chiedo se la pulizia verrà fatta con l’ausilio di gru, muletti o altre macchine operatrici.

 

 

 

ipercoop errori impermeabilizzativiNon potevo non farvi vedere questa foto. Come potete notare siamo in presenza di una crepa piuttosto lunga. Essendo sopra un solaio prefabbricato possiamo presumere che sia un giunto che si è formato naturalmente a causa di una tensione puntuale in quella zona, o di una crepa su un giunto strutturale che è stato chiuso dal massetto.

La particolarità è la resina completamente aperta che espone l’intradosso a percolamento d’acqua. Vi è anche la prova che non sono stati rispettati minimamente gli spessori richiesti dai produttori di resine per una posa impermeabile carrabile. Non vi è lo spazio per alcun tipo di armatura (eventuale), non vi è la massa necessaria per resistere alla trazione che si è creata. Inoltre si può notare come la crepa abbia rotto nettamente la resina e non vi sono sbavature di alcun tipo.

ipercoop errori impermeabilizzativiE con questa ci godiamo la sigillatura dei fissaggi passanti.

Perché lo strato impermeabile sia continuo è necessario che non vi siano interruzioni. Per poter dare la continuità si usano combinazioni di materiali compatibili tra di loro. Nella foto vediamo che la tenuta è lasciata alla buona volontà di una guarnizione in nylon e non ad un mastice poliuretanico. Il nylon è un materiale molto resistente, ma non è adatto alla funzione che gli si vuole dare.

 

ipercoop errori impermeabilizzativiBeh, qui non si tratta di una buona o cattiva posa del materiale, questo è un enorme problema di capacità impermeabilizzativa. Gli scarichi vanno sempre protetti in modo che non si possano tappare con rifiuti o residui di ogni genere.

Come potete notare qui, la griglia di protezione non è stata messa. Mancava? Costava troppo rimetterla? Non c’era già quindi chi se ne frega? La DL ha detto di non metterla?

In ogni caso sia l’applicatore sia la direzione lavori, sia chi ha riposizionato le fioriere non poteva non accorgersi dell’errore enorme.

A volte basterebbe semplicemente avere un po’ di amor proprio o professionalità per evitare che certi errori vengano commessi, qui siamo oltre anche la diligenza del buon padre di famiglia.

ipercoop errori impermeabilizzativiMa perché fermarsi agli scarichi non protetti? Andiamo oltre, quasi tutte le griglie degli scarichi sono state impermeabilizzate direttamente insieme al piano. O meglio se guardate bene si vede come il piatto interno dello scarico è stato impermeabilizzato con la resina e poi la griglia è stata sigillata sopra. Ovviamente il fatto che lo scarico non sia manutentabile o ispezionabile ha poca importanza. Se anche fosse un’imposizione della D.L. O della progettazione era il caso di rifiutarsi spiegandone i motivi.

 

ipercoop errori impermeabilizzativiMa non vogliamo farci mancare nulla. Abbiamo anche l’utilizzo di due materiali diversi. Anzi, il sospetto è che nella parte destra (più scura e lucida) sia stata usata una resina poliuretanica alifatica per dare maggiore protezione sia ai raggi UV sia all’usura, mentre nella parte sinistra… beh era finita. Ma si tratta di una mancanza di materiale o di un difetto di progettazione e/o preventivazione? Per vostra notizia la parte chiara corrisponde a circa 2/3 della zona impermeabilizzata e la più lontana dalla zona d’entrata del centro commerciale.

 

ipercoop errori impermeabilizzativiVoglio concludere la carrellata fotografica con questo splendido rappezzo in una zona non totalmente impermeabilizzata. La situazione del piano è la seguente: i tombini sono in corrispondenza dei giunti di dilatazione tra i tegoli prefabbricati del parcheggio e la vecchia impermeabilizzazione è usurata in molti punti. E’ stato fatto un taglio sul vecchio manto, è stato rimossa la parte distaccata ed è stato fatto un rappezzo che parte dallo scarico in fondo fino a quello in primo piano. Con le resine tutto questo è possibile e funziona a patto che il vecchio manto sia esso stesso ben aderente al supporto.

La regola, però, impone sempre che gli scarichi siano rifatti in quanto tra i punti più delicati della copertura.

Beh in questo caso un sistema che sembrerebbe fatto benissimo (le parti bianche che vedete sono sporco e polvere) risulta un vero e proprio colabrodo.

ipercoop errori impermeabilizzativiEd ecco come si presenta la zona sottostante l’intervento al primo acquazzone. Come vedete l’acqua passa proprio dal giunto…. neanche dallo scarico, ma passa attraverso il giunto stesso. Conclusione: la resina non è stata posata a regola d’arte, così come non vi è stata un’accurata progettazione, così come non vi è stato un ragionamento congiunto sulle operazioni da eseguire. E’ stata buttata una secchiata di resina per terra sperando che funzioni. La mia conclusione nasce dal fatto che non è possibile commettere errori grossolani come quelli che si sono visti su questa copertura.

Perché tutto questo? Il mio pensiero è che i soldi dell’intervento non fossero sufficienti ad eseguirlo ma si è voluto prendere lo stesso il lavoro. Quando ci sono appalti del genere ci troviamo con due fronti contrapposti: il primo (l’appaltatore) cerca di ottenere il massimo risultato al minimo prezzo senza avere limiti; il secondo (l’applicatore) che vuole prendere il lavoro a tutti i costi senza valutare se il risultato dell’intervento sarà soddisfacente. Questa situazione si ripete in moltissimi lavori d’impermeabilizzazione. E’ ora di chiarire che un lavoro sottocosto non può, ne mai potrà, essere garantito.

Quindi le resine poliuretaniche non sono adatte per fare questo genere d’intervento? A dire il vero sono proprio le più adatte se vengono eseguite scrupolosamente le regole di posa dettate dal fabbricante.

Senza nominare marche e marchi possiamo affermare che una copertura impermeabile carrabile eseguita con resine poliuretaniche dovrebbe avere i seguenti punti fondamentali: almeno 2 mm di spessore eseguiti in 2/3 mani, utilizzo sistematico dell’idoneo primer (per superfici asciutte o umide) e un’accurata progettazione di ogni singola criticità del confinamento impermeabilizzativo.

In alcuni casi può essere richiesta un’armatura ed in altri no, ma questa deve essere scelta in base alle esigenze della copertura e le regole scritte dal produttore.

Se si richiede una forte elasticità si deve prediligere un’armatura in poliestere (et similia) che permette la deformazione elastica dello strato impermeabile; se serve solo stabilità dimensionale…. beh a dire il vero non si usa una resina poliuretanica dove si richiede stabilità dimensionale! Infatti la prima caratteristica che balza all’occhio leggendo una scheda tecnica è la grande elasticità che può avere!

Vorrei chiarire un punto circa l’elasticità: se questo valore è al 600% vuol dire che arriva ad allungarsi fino a 6 volte e ritorna al punto di partenza. Ma cosa vuol dire che si allunga 6 volte: che una porzione prestabilita si deforma fino ad allungarsi del valore dichiarato (1 cm diventa 6 cm). Dobbiamo però capire cosa si allunga: si allunga la zona ove si crea la tensione. Se prendete una crepa di un millimetro siamo sicuri che quasi tutti i materiali si romperanno perché la parte soggetta a tensione è talmente piccola che paradossalmente risulta essere impossibile per qualsiasi materiale resistere. Mi spiego: se stimiamo che quando si apre la crepa venga interessata una zona di circa 1 micron (un millesimo di millimetro ossia … un singolo punto di contatto tra i due lembi della crepa!!!) con un’elasticità del 600% il materiale rimane integro fino ad un’ampiezza di 6 micron; quando la crepa arriva ad un millimetro è aumentato di ulteriori 994 micron…. un po’ troppo per chiunque.

pontagePer ovviare questo problema bisogna ricorrere ad alcuni accorgimenti (ecco perché anche gli angoli vengono additivati di bandella elastica): bisogna far sì che il punto che crea la tensione sia certo ed abbastanza ampio per consentire al sistema elastico di reggere la tensione. Per fare questo si utilizza la tecnica del PONTAGE; si crea una sezione in distacco proprio sopra il giunto che sarà unito in modo continuo con tutto il resto del sistema impermeabile. Facendo così si può far resistere il sistema elastico a qualsiasi tensione perché il PONTAGE viene dimensionato in base alle esigenze del giunto. Nel lavoro che abbiamo visto questa tecnica non è stata utilizzata. La procedura di calcolo prevede che si conosca il giunto o i punti di dilatazione; di seguito bisogna conoscerne il comportamento. Ma ciò presuppone soprattutto che si sia analizzata la copertura nei minimi dettagli prima dell’intervento.

Non abbiatemene per il disegno, ma sono convinto che più è semplice meglio si comprenda.

Per quanto riguarda il pontage con le resine poliuretaniche viene usato, normalmente, un nastro di tipo butilico. Materiale fantastico, ma è plastico, non elastico. Io preferisco usare delle strisce di EPDM. Questa è l’unica poliolefina che è in grado di andare in adesione con le resine poliuretaniche senza temere distacchi o altro. Le strisce vengono dimensionate alle esigenze del giunto e delle dilatazioni da raggiungere.

Come al solito concludo dicendo che sarebbe il caso che le impermeabilizzazioni venissero progettate da professionisti specializzati coadiuvando gli studi di progettazione (interni o esterni) e non dalle stesse imprese esecutrici o dai produttori dei materiali utilizzati. Gli uffici tecnici di queste aziende vanno sempre consultati, ma è il mix di soluzioni e materiali che può dare il risultato migliore. Purtroppo l’impreparazione di chi è addetto alla gestione/progettazione/realizzazione dei confinamenti impermeabilizzativi è la prima causa delle perdite di una copertura. Il copia incolla è sempre una procedura sbagliata. Bisogna ricordarsi che le impermeabilizzazioni sono un vestito sartoriale che viene creato sopra ogni singola copertura.

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Impermeabilizzazioni e Facility Management

Mi ricordo che quando ancora ragazzo,andavo a scuola e mi imbattei in una professoressa di tedesco piuttosto innovativa: aveva l’idea che l’interdisciplinarità fosse il successo della formazione dei suoi studenti. Così, giusto per farsi odiare da noi, decise di intraprendere, con l’aiuto della professoressa di italiano, un percorso parallelo che parlasse del romanticismo. Mi trovai a sostenere un’interrogazione bilingue dovendo parlare del romanticismo tedesco ed italiano.

Per uno come me che aveva un’avversione totale per la letterature poteva essere la tomba dello studio! Invece no! Mi piacque a tal punto che cominciai a credere in questo nuovo modo di vedere le cose: l’interdisciplinarità! Comunicare con chi non ha a che fare con il tuo mestiere per riuscire meglio, perché ognuno ha qualcosa da insegnarci e utilizzare metodologie diverse e lontane per affrontare i problemi tecnici.

Questa premessa può sembrare assolutamente fuori luogo ma introduce un evento che c’è stato all’inizio di questa settimana (7-8/09/2015): FaRete, una convention organizzata da Unindustria Bologna. A questo evento partecipano numerosissimi imprenditori di tutti i settori (quello edile era pochissimo rappresentato) che si scambiano esperienze e cominciano a parlare di partnership, collaborazione e condivisione. All’interno di FaRete vi sono stati numerosi seminari di cui uno a cui sono stato invitato dal moderatore sul Facility Management.

Per chi non lo sapesse riporto la definizione di Wikipedia che è molto esauriente:

In economia aziendale il Facility Managemento (norme e definizione ufficiale europeo: EN 15221) è la scienza aziendale che controlla tutte le attività che non riguardano il core business di un’azienda ovvero produttività d’ufficio, utilities, sicurezza, telecomunicazioni, servizio mensa, manutenzione, ecc. Nell’accezione oggi più comunemente utilizzata, per Facility Management si intende principalmente tutto ciò che afferisce alla gestione di edifici e loro impianti, quali ad esempio gli impianti elettrici, idraulici, d’illuminazione di condizionamento, ma anche i servizi di pulizia, ristorazione, portineria, giardinaggio, flotta aziendale, ecc.

Ho sentito parlare due persone del il settore di cui una era l’amministratrice di una azienda a livello nazionale ed il secondo il responsabile per l’Italia di una multinazionale del settore. (avete letto bene, multinazionale con quasi 10 miliardi di fatturato……. annuo consolidato). Hanno detto cose interessantissime sull’evoluzione del mercato e su come si risolvono le criticità, ma ho notato che hanno sempre rivolto la loro maggiore attenzione all’interno dell’involucro edilizio dove ha sede il loro cliente lasciando che la parte esterna venisse trascurata dal discorso.

Qui mi è scattato un campanello grande come una casa, o meglio, mi è sembrato giusto parlarne dal momento che, insieme al moderatore (CEO di una nota azienda del settore) stiamo lavorando sull’integrazione tra servizi ed edilizia da due anni! Eh già! I servizi alle aziende hanno necessità del settore edile ed il settore edile ha necessità del settore dei servizi! Perchè entrambi si rivolgono alla struttura dove vive un’azienda.

Come si può interagire in questo? Semplicemente ricordandosi che l’interdisciplinarità è fonte di innovazione e di miglioramento continuo. Il collegamento tra un’azienda di F.M. ed una edile è già stato sperimentato ma sono sempre state due realtà diverse e, spesso, in competizione, con diffidenze che non hanno mai permesso la vera e propria interazione nei servizi delle persone coinvolte. La cosa che stiamo sperimentando noi è diversa: si tratta di integrare i servizi all’interno del F.M. con la professionalità massima! Il raggiungimento dello scopo non è vincere un appalto, ma risolvere i problemi all’interno delle aziende. Sapendo poi che in Italia oltre il 60% delle cause in edilizia riguarda le infiltrazioni da acqua è automatico cominciare queste sperimentazioni con l’ausilio di impermeabilizzatori.

I primi tentativi di integrare le due realtà sono stati fallimentari! Le buone intenzioni c’erano, ma anche le diffidenze e le carenze organizzative! Oggi siamo arrivati ad integrare al meglio le varie professionalità con la concordia di tutti gli operatori!

Facendo così abbiamo realizzato la possibilità di operare secondo i migliori canoni teorici: si evidenzia il problema, lo si analizza a fondo e si realizza la soluzione. Il cliente finale si ritrova con il problema risolto ad un costo che non è più formato da ricarichi su ricarichi, ma dalla somma dei valori che i vari giocatori hanno messo in campo!

Proprio grazie a questo sistema abbiamo potuto analizzare diverse coperture con grandi problemi e darne risoluzione, abbiamo potuto consigliare la redazione di CTP per richiedere i danni a chi li ha causati, fino alla realizzazione di interventi di chirurgia impermeabilizzativa per risolvere definitivamente e senza grandi aggravi le problematiche di infiltrazione.

La cosa che sconvolge gli operatori, soprattutto edili, con cui parlo è che in questi interventi si parla poco di denaro, ma sempre di tecnica, di metodi, di garanzie e di manutenzione. Gli imprenditori italiani non sono certo degli sprovveduti e sanno benissimo che devono far quadrare il bilancio, sanno anche che troppi interventi non risolutivi si accumulano sul bilancio come il colesterolo di un hamburger alle arterie.

Lo spostamento dell’obiettivo da quello economico a quello pratico muove anche la percezione da parte dell’interlocutore. Ci troviamo di fronte ad una persona che ha un problema e vede risolverselo con professionalità e rapidità. Il suo disagio viene superato nel modo meno invasivo possibile.

Non è tutt’oro quello che luccica! Troppi sono ancora gli imprenditori che hanno gli occhi foderati di prosciutto di scarsa qualità. Troppi sono ancora i professionisti che non sono professionali e che millantano conoscenze che non hanno. E troppi sono gli operatori di tutti i settori che sono convinti che fregare gli altri sia il miglior metodo per far crescere la propria azienda. Inoltre l’integrazione sui servizi può far perdere parte dell’autonomia dei giocatori che si trovano ad operare in questo settore a favore di un altro. La capofila, per ovvi motivi, deve operare come testa di tutto il gruppo e gli altri devono essere collaborativi! Parliamo di due settori che hanno mentalità talmente diverse da essere quasi contrapposte! Un esempio? Nel F.M. un’urgenza non si risolve in una settimana, ma in 10 minuti! Nell’edilizia i tempi di attesa sono obbligatori nel F.M. non vengono proprio intesi! Queste differenze devono essere gestite da imprenditori aperti ed illuminati che vogliono cambiare il loro ruolo in un mercato sempre più deficitario mettendo a disposizione del gruppo di lavoro le proprie prerogative senza che vi siano veti o vincoli oltre a quelli tecnici. Il dialogo tra gli imprenditori è necessario per pianificare gli interventi, così come è necessaria la gestione delle persone che lavorano per ognuno dei partner di quest’impresa. La gestione di un lavoro nato dal F.M. per un’impresa edile è ostico ed è necessaria una rivoluzione interna all’organizzazione che permetta la massima flessibilità con il minor dispendio di risorse e, quindi, di costi.

Noi non parliamo di tangenti! Noi non parliamo di persuasione … fuori dagli schemi! Noi parliamo di risoluzione del problema una volta per tutte!

Per chiudere l’articolo vi voglio raccontare un caso pratico che è ancora in fase di realizzazione:

Il responsabile commerciale dell’azienda di F.M. mi ha chiamato all’inizio di quest’anno chiedendomi di andare da un suo cliente perchè si ritrova delle strane perdite dal tetto che è stato rifatto pochi anni fa. Mi faccio dare nome e telefono del responsabile dell’azienda e vado a far visita a questa struttura.

Mi fanno vedere il capannone, mi fanno visitare il soffitto (un soppalco arriva molto vicino al solaio) e mi raccontano quello che è successo negli ultimi anni.

La mia prima domanda è stata: “chi è il vostro tecnico di fiducia?” la risposta ve la lascio immaginare! Gli faccio contattare un ingegnere che ha già fatto dei lavori per loro e comincio ad operare con lui fino ad arrivare a fare alcuni carotaggi (insieme all’impermeabilizzatore) sulla copertura. Immediatamente ci accorgiamo dei grandissimi errori che sono stati realizzati sulla copertura e, scendendo, stabiliamo che è meglio consigliare di attuare anche un intervento legale.

L’ingegnere redige una perizia che comprende la mia relazione tecnica sulla copertura (perchè i problemi andavano oltre il tetto) e la consegnano all’avvocato incaricato dall’azienda.

Attualmente la procedura legale si è fermata perchè l’impresa che ha realizzato la copertura è fallita.

Rimane che noi avevamo già previsto due tipologie d’intervento: una d’urgenza e una definitiva prevedendo che la questione sarebbe andata per le lunghe! A tutt’oggi ci dobbiamo ritrovare per la redazione di un progetto definitivo per la risoluzione dei problemi definitiva.

Nessuno ha mai parlato di prezzi. Abbiamo chiesto la disponibilità per pagare l’impermeabilizzatore e gli altri professionisti intervenuti e l’abbiamo ottenuta sempre con la massima trasparenza.

Vedermi chiamare dall’imprenditore per salutarmi e raccontare come stanno andando le cose (che non mi competono) è stato il segnale di un’azione corale che ha colpito l’obiettivo e ha dato grande speranza a chi l’aveva persa e soprattutto ha stabilito la grande fiducia che ci è stata riposta. Noi, d’altro canto, dobbiamo continuare a meritarcela facendo sempre al meglio il nostro lavoro!

Questo è un caso, ma ve ne sono ancora tanti che ci portano a vedere in questa unione d’intenti e di lavoro il futuro roseo del settore delle impermeabilizzazioni. Non voglio finire in modo troppo zuccheroso perchè i problemi sono ancora tantissimi da risolvere; basta la buona volontà e la professionalità per farlo. Prima o poi i ciarlatani spariranno sotto il peso delle loro azioni e ci vogliono aziende e persone pronte a prenderne il posto.

Articolo realizzato in collaborazione con La Petroniana S.r.l.

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E’ la copertura che sceglie la guaina, non il posatore.


Leggere i preventivi di due o tre applicatori, come al solito i migliori… amici degli amici degli amici, è fantastico! Se sei fortunato ti scrivono che posano una guaina; non ti dicono quale, non ti dicono come, né se ci sono prescrizioni particolari (verticali, soglie, angoli, etc.). Quando si è meno fortunati (e non sono ironico) troviamo scritto che mettono un materiale con una particolare flessibilità a freddo. Di solito inseriscono dei -15 o -20, come se fosse il dato più importante della scheda tecnica. Beh, sappiatelo, è il meno importante! Se poi ci mettono un nome siamo alla frutta.

Perchè questo mio cambio di direzione dal momento che sono anni che predico di scrivere nome e cognome del prodotto? Beh, non è un cambio di direzione, ma un incubo per chi legge il preventivo.

Innanzitutto partiamo da un motto: E’ la copertura che sceglie la guaina, non il posatore.

Facciamo chiarezza con le guaine bituminose innanzitutto. Le norme tecniche si sprecano; sono dettagliate, sono puntuali e non è facile sbagliarsi…. a meno che non sappiamo nulla di queste e non vi siete letti i miei articoli sulla lettura della scheda tecnica.

Una guaina bituminosa è costruita per rispondere a determinate esigenze tecniche e viene detto che ha una “Destinazione d’Uso”, ossia risponde a quesiti tecnici di montaggio, durata e prestazioni che devono essere standardizzate in un prodotto.

Innanzitutto ricordiamo che una guaina bituminosa è formata da molti strati di materiali diversi che collaborano per creare un prodotto che possa impermeabilizzare una superficie:
1) compound bituminoso (bitume, polimeri, filler)
2) armatura (Poliestere, velo di vetro, alluminio)
3) finitura superiore (ardesia, tnt, laminato, film plastico)
4) finitura inferiore (talco, sabbia, film plastico, film monosiliconato)

Questi sono sempre gli stessi strati, ma con una ricetta particolare del compound o una spostamento dell’armatura verso l’alto o il basso, un’armatura più o meno performante, creano un prodotto diverso dall’altro! Per questo non si può dire che si monta una guaina, perchè ogni produttore ne crea, come minimo, una trentina tutte diverse con finalità diverse.

A questo punto andiamo a chiamare la copertura per capire quali sono le sue esigenze in termini di prestazioni. Ovviamente la copertura non ci risponderà… così dovremo avvalerci di qualcuno che la sa capire ed interpretare.

Cominciamo con il dividere due macrocategorie: monostrato e doppio strato. Sono due sistemi quasi sempre concorrenti, ossia possiamo sostituire uno con l’altro! E’ una questione di filosofia di posa e di abitudini tecniche; ma può anche essere un’esigenza imprescindibile.

Che sia il primo o il secondo avremo altre due posizioni da scegliere: senza protezione pesante e sotto protezione pesante. Sia chiaro che la seconda è qualsiasi situazione su cui viene posato un peso continuo o puntuale (anche per macchinari appoggiati su strati di separazione) sopra l’impermeabilizzazione; il massetto è il principale sistema di protezione pesante! Pertanto se dovete utilizzare una guaina bituminosa in un terrazzo con massetto dovrete usarne una per la protezione pesante.

Per i monostrati si parla anche di Monostrato a vista. La differenza con il multistrato, che ha una definizione molto più generica, sta nel fatto che in un sistema con molti strati quello a tenuta è quello più vicino alla zona da impermeabilizzare e quelli superiori sono di protezione. Quindi quando vi propongono un multistrato e vi dicono che mettono un prodotto più performate sopra sappiate che stanno sbagliando! Il doppio strato, salvo autorizzazione del produttore o specifica progettazione, dovrebbe essere sempre formato dallo stesso tipo di mescola per avere la massima compatibilità tra gli elementi.

Rimanendo sulle coperture dobbiamo citare la famosissima guaina antiradice. E’ una guaina con un additivo particolare (Preventol della Bayer) che funge da repellente per le radici che non si dovrebbero andare a infilare oltre lo strato a tenuta. Questa si usa, come è facile immaginare, nei sistemi impermeabili bituminosi nei giardini pensili; ma è consigliata ogni qual volta vi è una possibilità di attecchimento di piante sulla copertura.

Altra specifica guaina è quella sottotegola. E’ la più povera, la più bistrattata e la più economica e, come al solito, la meno progettata…. tanto che se si sbaglia materiale si fanno dei danni. La guaina da sottotegola ha una specifica funzione: impermeabilizzazione secondaria in un sistema con una copertura discontinua. E’ vero, non serve una guaina dalle grandi prestazioni di resistenza all’invecchiamento in quanto è protettissima da un’altro tipo di copertura (tegole, lamiere etc.); ma ha la necessità di avere una grande resistenza meccanica al punzonamento ed al surriscaldamento in quanto potrebbe avere sia dei pesi molto grandi (tegole in cemento) sia dei sistemi che potrebbero far aumentare notevolmente le temperature d’esercizio (lamiere non coibentate). Pertanto capirete come il produttore non può proporre qualsiasi guaina per questo specifico utilizzo, ma solo alcune particolari che sono in grado di durare nel tempo.

Come avete notato siamo passati, in un attimo, da un sistema generalistico (monostrato o multistrato) a sistemi specifici e puntuali. Continuando a rimanere sui tetti passiamo ad una guaina che spesso viene dimenticata e ritenuta inutile o semplicemente costosa, mentre è fondamentale perchè un pacchetto coibente possa funzionare: la barriera al vapore. Si tratta di una guaina che normalmente è armata o in poliestere o in velo di vetro con accoppiata una lamina sottilissima di alluminio. Questo permette alla migrazione del vapore di non passare attraverso la membrana bituminosa lasciando il coibente completamente isolato dalla partizione sottostante della costruzione. Come per le altre guaine anche la Barriera al vapore ha la sua norma e le sue caratteristiche tecniche da rispettare. Pertanto se dovete fare un tetto coibentato non potete assolutamente dimenticare questo strato che deve essere in totale adesione, altrimenti potrebbero formarsi fastidiose condense interstiziali tra la membrana e il supporto.

A questo punto cominciamo a scendere sotto il piano campagna! Essendo le membrana bituminosa un sistema impermeabilizzante, la troviamo anche in fondazione, o meglio, sotto il piano campagna. In particolare abbiamo tre specifiche tipologie di impermeabilizzanti bituminosi sotto quota campagna: muri verticali, fondazioni e umidità di risalita.
Muri verticali direi che si descrive da sola: serve a impermeabilizzare i muri verticali che verranno poi interrati! Non parliamo di fondazioni, ma di parti verticali esterne che vengono poste sotto terra. Per le fondazioni, invece, parliamo di platea di fondazione o di sistemi che stanno alla base della struttura che viene costruita. Come potete immaginare una guaina bituminosa che stia sotto una platea dovrà avere grandissima resistenza meccanica al punzonamento ed allo schiacciamento! Terza situazione è quella contro l’umidità di risalita. E’ una guaina che prevede una situazione mista tra le due viste sopra (tanto che spesso si usa lo stesso prodotto) e serve a non far risalire l’acqua piovana attraverso il muro. Attenzione: per umidità di risalita si intende solo acqua meteorica, mentre quando si usano le guaine per fondazioni o muri verticali sottoquota si vuole impermeabilizzare anche dall’acqua di falda.

Come vedete potete scegliere la marca di una guaina, non il modello! E’ vero che molte aziende fanno più di un prodotto adatto a varie situazioni, ma ricordatevi che prima di scegliere il tipo di membrana dovete chiedere alla vostra copertura cosa vuole. E se non sapete in che lingua parla la vostra copertura chiamate qualcuno che è in grado di tradurvi il suo linguaggio.


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Liscia o ardesiata? questo è il problema.


La finitura delle guaine bituminose può essere, generalizzando, liscia o ardesiata. Ardesiata è quella con le scaglie d’ardesia di vario colore e liscia sono tutte le altre. Eh, già, perchè le guaine liscie sono quelle senza asperità. Ma liscio vuol dire tutto e niente; ci sono guaine liscie con finitura il polipropilene, in polietilene, in tnt, in lamina metallica, in strati colorati, in sabbia o in talco.

Voglio parlarvi solo delle applicazioni sui tetti a falda.

Normalmente viene usata, come impermeabilizzazione secondaria, una guaina bituminosa ardesiata, il cui scopo principale è impermeabilizzare ma anche evitare lo scivolamento degli operatori durante la posa, per proteggere la massa bituminosa della membrana e per migliorare l’adesione delle tegole che vengono fissate con schiume poliuretaniche o malte. Preciso che la malta cementizia sarebbe meglio non utilizzarla in quanto, nel tempo, verrà rifiutata dalla guaina.

Ma siamo sicuri che sia la scelta giusta! Certo l’applicatore che abbiamo contattato (che è l’amico del fratello del cognato del vicino di casa di uno che abbiamo conosciuto scivolando su una buccia di banana, non un professionista) ci avrà detto che la guaina giusta è quella ardesiata e noi, che non sappiamo nulla, non possiamo fare altro che fidarci. Beh, vi devo deludere: la guaina migliore per la posa sottotegola è quella liscia con finitura tnt (tessuto non tessuto) o tessuto tessuto. La guaina liscia con tnt accoglie molto meglio la schiuma rispetto alle scaglie d’ardesia, ma soprattutto, essendo attaccata in continuo sulla massa bituminosa (compound), non si staccherà con molta facilità cosa che succede con le scaglie d’ardesia.

Se dovete farvi fare un preventivo per reimpermeabilizzate il vostro tetto a falda con tegole o con lamiera ricordatevi questi piccoli parametri:

  1. utilizzate una guaina liscia con finitura superiore in tnt
  2. che sia una guaina di tipo plastomerico (APP o TPO) con valore di flessibilità a freddo non superiore a -10° (quindi -15 e -20 vanno benissimo). Non utilizzate guaine elastomeriche tipo SBS mentre vanno benissimo quelle in EPDM
  3. Se proprio non potete fare a meno di avere una guaina ardesiata controllate che il peso sia di 4,5 kg/mq ed abbia uno spessore non inferiore a 3mm
  4. La guaina dovrà essere posata ortogonalmente alla linea di gronda
  5. La guaina dovrà essere sfiammata su tutta la sua superficie
  6. E’ necessaria la posa del primer!

Se chiederete che venga utilizzato un materiale con finitura in tnt scoprirete chi, effettivamente, è un applicatore professionista e chi improvvisato! Inoltre pretendete che queste annotazioni vengano scritte in contratto e, prima della posa del manto di tegole, nominate qualcuno di vostra fiducia (un progettista o un esperto in impermeabilizzazioni) che vadano a fare un carotaggio sul tetto per capire se la guaina è stata posata correttamente. Nel caso non lo sia fate rifare il lavoro, perchè un tetto fatto male è un tetto pericoloso!

Probabilmente penserete che sia esagerato il lavoro di controllo che suggerisco, ma se pensate che quando si parla di tetti si parla sempre di migliaia di Euro, non vi dovrebbe sorprendere un tal consigio. Inoltre i posatori professionali mirano ad un lavoro di qualità e duraturo, come dovrebbe essere comunque, e non si scandalizzano o offendono mai se un committente vuole essere sicuro del lavoro eseguito; anzi sono ben contenti di poter dimostrare la qualità del loro lavoro.


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UNI 11540 – il Manuale di Manutenzione


Terza parte della norma UNI 11540. Abbiamo parlato del Manuale della Copertura, adesso entriamo ancora più nello specifico.

Il Manuale di Manutenzione è lo strumento che ci dice come fare le cose e dove farle. Chi ha creato la norma ha previsto due gradi di manutenzione: Livello 1 e Livello 2 (evviva la fantasia)

Il livello 1, o potremmo chiamarlo Entry Level, è quello generale, il minimo garantito, dove evidenzieremo il posizionamento delle zone impermeabilizzate all’interno dell’involucro edilizio (già presente nel Manuale della Copertura), andremo ad analizzare dove sono i punti sensibili (verticali, scarichi, elementi emergenti, etc.), ma soprattutto andremo ad indicare due tipologie di interventi: quelli a carico del proprietario dell’involucro, ossia che può tranquillamente farseli da solo (vedi la pulizia degli scarichi o della copertura) e quelli che devono essere effettuati da un professionista (controllo visuale dello stato della copertura, stato degli scarichi, etc.)

Vi è l’introduzione ufficiale di un professionista delle impermeabilizzazioni! Finalmente questa parola: PROFESSIONISTA. Ma cosa s’intende per professionista? E qui casca l’asino. Come al solito non vi è uno strumento che possa identificare il professionista! Dovremmo cercare tra i tanti che si propongono uno di cui ci fidiamo, oppure potremmo scegliere una persona esperta nel settore che faccia il controllo ed un operatore che esegua le chiamate dell’esperto (vedi articolo precedente).

Il secondo livello è decisamente più interessante e contiene più dati del primo, non a caso lo rendono obbligatorio per le superfici maggiori di 3000 mq. Innanzitutto vi è una raccolta di documentazione molto dettagliata riguardo ogni singolo aspetto della copertura: vi è la raccolta di tutte le schede tecniche relative ai materiali utilizzati, la rappresentazione grafica sia delle singole coperture (se varie) sia dei dettagli e degli elementi emergenti e, comunque, sensibili, con particolare riferimento allo smaltimento delle acque meteoriche; è la prima volta che si parla, in questa norma, di garanzie! E’ richiesta tutta la documentazione circa la costruzione della copertura e gli studi che sono stati fatti preliminarmente per la sua realizzazione, oltre ad eventuali polizze rilasciate e dall’applicatore e dal produttore dei materiali utilizzati. Si parla anche della documentazione che può essere stata fatta circa i sistemi di fissaggio e le schede tecniche dei materiali utilizzati. I documenti circa la previsione di sistemi per la ricerca di eventuali perdite (traccianti) e i documenti circa eventuali non conformità rilevate durante la fabbricazione o il rilievo della copertura e le anomalie riscontrabili.
Fin qui vi è un lungo elenco di documenti che bisogna sempre conoscere per capire come la copertura è stata realizzata; da questo punto vengono richiamati due particolari che sono innovativi: Descrizione delle risorse necessarie per l’intervento manutentivo e il Livello minimo delle prestazioni (della copertura).

Quando il manuale richiede la descrizione delle risorse necessarie alla manutenzione, è come se volessimo certificare che chi interverrà sia veramente in grado di eseguire il lavoro richiesto. Non è altro che un elenco di materiali ed attrezzature necessarie. Il fatto che venga predisposto in anticipo ci permette di controllare nel tempo la qualità di materiali utilizzati ed evolvere in continuo il manuale al fine di prolungare sempre più la vita utile della copertura.

Se parliamo di livello minimo delle prestazioni, invece, cominciamo ad entrare anche nelle prestazioni in utilizzo della copertura. La norma vuole che l’area interessata non sia solo costruita e manutenuta bene, ma anche utilizzabile. Questo punto, che ai più può sembrare semplice, è, invece, la richiesta di una costante valutazione dello stato della copertura, delle norme relative alla sicurezza e degli adeguamenti necessari perchè questa possa essere utilizzata. Se vogliamo possiamo vederla come la voglia di permeare il futuro, che non conosciamo, obbligandoci ad avere una visione a lungo termine. Sapendo che una copertura dovrà durare almeno 50 anni dovrò prevedere che ci saranno particolari esigenze che dovranno essere soddisfatte e mettere a disposizione della proprietà tutti gli strumenti per poterle soddisfare e, allo stesso tempo, garantirne la fruibilità originaria. La Lungimiranza è stata richiesta come qualità di progettazione e realizzazione! Questo sì che è un’innovazione per il mercato italiano.

Proprio a causa di questo spirito evolutivo è necessario che il manuale della manutenzione venga continuamente aggiornato in base anche ai cambiamenti delle tecniche e delle metodologie. La lungimiranza richiesta, mi permetto di aggiungere, non dovrebbe permettere l’utilizzo di tecnologie che non possono essere garantite e manutenute nel tempo.

In particolare le prestazioni minime riguardano i seguenti parametri (non esaustivi, ma esemplificativi):

  • Tenuta all’acqua.
  • Consumi energetici.
  • Drenaggio.
  • Condensa interstiziale.
  • Sicurezza.
  • Coesistenza con agenti biologici e chimici.
  • Coesistenza meccanica.
  • Fruibilità.
  • Ispezionabilità.
  • Manutenibilità.
  • Isolamento acustico.
  • Rumori aerei od impattivi.

Si può immediatamente notare come vengano previsti alcuni parametri che solo alcuni anni fa non sarebbero stati presi in considerazione: consumi energetici, isolamento acustico, coesistenza con agenti chimici, manutenibilità. A costo di sembrare troppo ripetitivo devo dire che la norma è stata fatta sicuramente bene con la grande consapevolezza che una copertura ha una sua utilità ed un suo funzionamento. Non dobbiamo dimenticarci che con l’evoluzione tecnologica la copertura è divenuta uno spazio attivo dove depositare le macchine che permettono il miglioramento della vita dentro le strutture. Questo spazio subisce passaggi, alterazioni, stress termici e fisici, manutenzione di macchinari e richieste tecniche da soddisfare; non può essere tutto lasciato al caso o ad un operatore che non abbia idea di cosa stia facendo! Ecco che la parola Professionista acquisisce un significato concreto! Il professionista è colui che è in grado di operare in qualsiasi condizione sul manto di copertura, conoscendone pregi e difetti e attrezzato per effettuare tutte le riparazioni o migliorie necessarie; inoltre è un professionista colui che è in grado di dimostrare il costante aggiornamento della propria professionalità

Per capire come agire nell’aspetto manutentivo la norma pone un’elenco di danni che si possono verificare.

Azione Agente Potenziale Effetto
1 Stati tensionali attivati da carichi dinamici concentrati sull’elemento di tenuta generati da fenomeni atmosferici e da dislocazione e ricaduta di elementi complementari (scossaline, esalatori, ecc.), di altri elementi collocati in copertura non correttamente fissati Grandine, vento Punzonamenti, lesioni con immediata infiltrazione
2 Stati tensionali attivati da carichi statici, dinamici concentrati sull’elemento di tenuta generati da utilizzo improprio del piano di copertura Pedonamento della copertura con calzature non idonee; utilizzo della copertura per attività non previste progettualmente; deposito di detriti e oggetti vari (imballi, attrezzature, dispositivi dismessi, cocci di bottiglia, rottami, ecc.) Affondamenti, lesioni, incisioni, punzonamenti; immediate infiltrazioni
3 Stati tensionali attivati da carichi puntuali o lineari, concentrati direttamente sull’elemento di tenuta Presenza di rivestimenti protettivi fessurati o a quadrotti fratturati, presenza di attrezzature impiantistiche appoggiate direttamente sull’elemento di tenuta Affondamenti, lesioni, incisioni con eventuali infiltrazioni
4 Stati tensionali sull’elemento di tenuta attivati da deformazioni sotto carico del suo supporto Pannelli isolanti con insufficiente resistenza alla compressione rispetto ai carichi previsti progettualmente; pannelli isolanti con insufficiente resistenza alla compressione dovuta al loro deterioramento, attivato per esempio da acqua di infiltrazione o da condensazione interstiziale Affondamenti, lesioni, incisioni con eventuali infiltrazioni
5 Stati tensionali sull’elemento di tenuta generati da variazioni termiche e/o umidità nel suo supporto Pannelli isolanti non fissati correttamente al supporto; instabilità geometrica dei pannelli isolanti; giunti di dilatazione del supporto non riportati sull’elemento di tenuta Corrugamenti, lesioni, infiltrazioni
7 Stati tensionali sull’elemento di tenuta generati da escursioni termiche da protezioni termiche fisse (per esempio massetti in conglomerato cementizio) Spinte del massetto sull’elemento di tenuta dovute a impedimenti alla dilatazione del massetto o da insufficienti giunti di dilatazione dello stesso Punzonamenti, lesioni, incisioni con eventuali infiltrazioni
8 Stati tensionali in corrispondenza di elementi fissi di perimetro o in superficie corrente generati da escursioni termiche dell’elemento di tenuta Contrazioni (termiche o da invecchiamento) impedite dall’elemento di tenuta dovute alla sua connessione meccanica con elementi complementari (risvolti di bordo, scossaline, terminali impiantistici, esalatore, bocchettoni di scarico, fissaggi meccanici dell’elemento di tenuta, ecc.) Stiramenti, lesioni in corrispondenza dei punti fissi; ondulazioni d’angolo e in superficie corrente; distacchi delle sovrapposizioni dei teli impermeabili; deformazione, estrazione di fissaggi meccanici; infiltrazioni
9 Stati tensionali in corrispondenza di elementi fissi di perimetro o in superficie corrente generati da fenomeni atmosferici Azione del vento: sollevamento e suo impedimento dovuto alla connessione meccanica con elementi complementari (Risvolti di bordo, scossaline, terminali impiantistici, esalatori, bocchettoni di scarico, fissaggi meccanici dell’elemento di tenuta, ecc.) Stiramenti, lacerazioni, lesioni in corrispondenza di punti fissi generati da connessioni con elementi complementari; ondulazioni d’angolo e in superficie corrente; dislocazione di elementi complementari e loro eventuale ricaduta; distacchi delle sovrapposizioni dei teli impermeabili; deformazione ed estrazione di fissaggi meccanici; potenziali infiltrazioni
10 Esposizione alla radiazione solare, ombreggiamenti, concentrazione della radiazione solare, ristagni di acqua Radiazione solare e surriscaldamenti dell’elemento di tenuta anche eventualmente potenziati da superfici riflettenti (vetri riflettenti, superfici metalliche di canalizzazione, insegne, ecc.); riscaldamento e raffreddamento dell’elemento di tenuta in rapporto alla dinamica del suo parziale ombreggiamento durante le ore diurne Invecchiamento accelerato dell’elemento di tenuta; armatura perdita di massa superficiale fino ad avere affioramento di armatura, coccodrillatura, reptazione e ondulazioni; sfogliamento, sfarinamento e microlesioni diffuse delle pitture riflettenti o protettive e dei trattamenti superficiali
11 Alterazione chimico-fisica, meccanica dell’elemento di tenuta Presenza di depositi biologici a diretto contatto con l’elemento di tenuta (foglie, muschio, sterco di animale, terriccio, residui vari, forme di vita animale, vegetale) con conseguenti attacchi batterici Invecchiamento accelerato; riduzione della resistenza meccanica; perforazioni in sezione corrente; penetrazioni radicali nelle giunzioni tra teli; potenziali infiltrazioni
13 Alterazione chimico-fisica, meccanica dell’elemento di tenuta Presenza di depositi di sostanze chimiche aggressive sull’elemento di tenuta; incompatibilità chimico-fisica con strati contigui Invecchiamento accelerato; effetti variabili sulla reologia del compound in funzione delle caratteristiche della sostanza aggressiva (riduzione volumetrica)
14 Alterazioni chimico-fisica meccanica di sigillature e guarnizioni di scossaline, cappellotti metallici, lucernari, serramenti e altri dispositivi Elevata temperatura, escursioni termiche, irradiazione solare, instabilità intrinseca del compound; azioni meccaniche (da parte di animali quali roditori, volatili, ecc.) Distacchi, alterazioni meccaniche, asportazioni; potenziali infiltrazioni

Come vedrete mancano due numeri nella tabella. Non è una dimenticanza mia, ma proprio mancano nella norma.

Come già detto questa è una tabella che non copre tutte le casualità che si possono riscontrare, ma è piuttosto completa. Particolare è il fatto che, anche se un esempio, al punto 13 si parla di “incompatibilità chimico-fisica con strati contigue“. Per non creare confusione possiamo dire che è l’incompatibilità con gli elementi a cui è attaccata la nostra impermeabilizzazione. In tanti c’eravamo arrivati prima della norma, gli stessi autori conoscevano il problema; adesso, però, è dentro il corpus della norma e non può più essere negato! ora i produttori di materiali, se usiamo questa normativa, dovranno corredare i loro prodotti con eventuali problematiche circa la compatibilità o meno con gli eventuali strati a tenuta!

Un consiglio spassionato: se proprio avete dei dubbi e volete delle garanzie, scrivete al produttore del materiali contiguo (massetto, colle, fugature, piastrellature, sistemi di fissaggio, alleggeriti e tutto quello che potreste trovarvi davanti) e chiedete se vi sono o no problemi di “compatibilità chimico-fisica”. Non abbiate poi paura di usare queste risposte anche a livello legale! Ma in particolare evitate di usare i prodotti di quei marchi che non vi danno risposte!


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UNI 11540 – il Manuale d’Uso


Come detto nella parte generale il manuale d’uso (della copertura) non è altro che la raccolta di tutte le notizie, il più dettagliato possibile, sulla copertura e su chi ne è responsabile.

Partiamo dal presupposto che per rispettare questa norma è necessario che vi sia una perfetta armonizzazione delle esigenze tecniche con quelle manutentive e che deve essere progettata, la manutenzione, fin dalla sua origine. Insomma il nostro progettista dovrà farsi in quattro perchè non penserà più a breve termine (uso del fabbricato per i suoi scopi principali) ma a lunghissimo termine facendo sì che il fabbriacato, o la porzione di esso, sia MANUTENIBILE.

Cosa vuol dire MANUTENIBILE? È una parola che sembra strana e sicuramente ha un suono scorretto! Ovvio, non facendo mai manutenzione non sappiamo quali siano i caratteri principali di queste operazioni.

Innanzitutto perchè una copertura sia manutenibile è necessario che sia praticabile! Eh già! Se non ci si può andare sopra come è possibile lavorarci? Pertanto se una copertura presenta dei pericoli nascosti è bene che vengano segnalati! In passato mi trovai a consigliare, al progettista di un capannone, di utilizzare le vernici protettive come dei segnali stradali, dando indicazioni sulle zone pedonabili e quelle pericolose! In fondo basta utilizzare i colori a nostra disposizione. Ad esempio colorare di bianco tutte le zone su cui non vi è pericolo e di rosso quelle con pericolo di caduta o altro! A vederle dall’alto sicuramente potrebbe saltare fuori un bell’arlecchino, ma sicuramente l’utilizzo del codice colore del pericolo (ROSSO) è un metodo assolutemente comprensibile per segnalarne la presenza. Ovviamente mi fu detto che era inutile perchè dopo pochi anni la vernice sarebbe scomparsa e non si sarebbe più saputo quali parti erano pericolose (Evviva la lungimiranza dei progettisti… per fortuna non sono tutti così).

Altro problema che deve essere affrontato, prima di pensare ad intervenire per manutenzione, è l’accesso alla copertura: non è possibile usare come tecnici Superman o Tarzan o Spiderman! E’ necessario che vi sia un accesso sicuro alla copertura e che sia funzionale, non solo alle visite ispettive, ma anche al trasporto di piccole attrezzature! Insomma una scala in verticale appoggiata alla grondaia senza appigli e agganci per la cintura di sicurezza non va bene!
La cosa migliore è un accesso dall’interno, dove è possibile stoccare le attrezzature per lavorare in copertura. Se non è possibile sarà necessario creare una scala sicura con un sistema per il sollevamento delle attrezzature.

Questi argomenti sono di facilissima progettazione e realizzazione quando si parla di un edificio nuovo, tutt’altra cosa avviene negli edifici esistenti. Rimane che è fondamentale sapere come raggiungere la copertura e come muoversi ed è altrettanto importante avere dei sistemi il più a lungo longevi dove non siano permessi sotterfugi o mancanza di qualità.

Sapendo come muoverci e come raggiungere la copertura possiamo pensare a cosa inserire nel Manuale d’Uso e come utilizzarlo: innanzitutto avremo alcuni disegni che rappresentano le varie tipologie di coperture all’interno dell’involucro edile su cui stiamo lavorando. La rappresentazione grafica facilita il lavoro di chi deve compiere piani o eseguire manutenzioni, inoltre è facilmente leggibile da un professionista. Allo stesso tempo ci permette di capire i percorsi da seguire per raggiungere le varie coperture.

Tra i disegni vi sono anche i dettagli di copertura: sia il disegno della copertura con i sui particolari, sia i dettagli stratigrafici per ogni particolare e per la sua generalità.
Il primo punto è la destinazione d’uso della copertura. La norma in oggetto estende alcune delle solite destinazioni d’uso specificando il vero e proprio carico dell’uso. Ad esempio la copertura pedonabile è esplicitamente divisa in quattro sottogruppi: pedonabile per manutenzione della copertura, per manutenzione della copertura e delle attrezzature ivi poste, pedonabile privatamente, ad uso pubblico. E’ ovvio che ognuno dei punti elencati crea esigenze differenti che portano ad avere comportamenti differenti.

Il dettaglio degli elementi emergenti è altrettanto importante perchè ci permette di capire non solo l’evoluzione della copertura, ma anche se è stato eseguito un lavoro senza che ne venisse segnalata l’esecuzione: se troviamo un condizionatore, o un camino che non c’era possiamo tranquillamente far ricadere la responsabilità sul Responsabile della Manutenzione e sull’utente o il proprietario della copertura. Non solo, avendo a disposizione i dettagli di tutti i punti problematici possiamo eseguire una più efficace manutenzione ottimizzando i tempi della stessa.

Altri documenti che devono essere inseriti nel manuale sono quelli riguardanti la costruzione e le eventuali manutenzioni eseguite: tutti i materiali dovranno essere seguiti da una scheda tecnica che potrà essere utilizzata dal manutentore per capire quali e quanti interventi siano necessari, quali materiali siano compatibili. Ovviamente il manuale della manutenzione cercherà di diminuire al massimo la discrezionalità degli operatori manutentivi, ma non potendo prevedere ogni cosa è necessario che tutte le informazioni siano sempre disponibili a chi esegue i lavori o i controlli. Non dimentichiamo che sono anche importantissime le specifiche delle tecniche di posa utilizzate! Se abbiamo un manto in totale aderenza o un manto indipendente con fissaggio ad induzione, ci dovremo muovere e lavorare in modi specifici. La generalizzazione e l’approsimazione degli interventi è stata bandita da questa norma!

Fin qui possiamo vedere cose normali, a volte esagerate (a me lo dicono continuamente che lo sono…), ma sicuramente utilissime e facili da capire.

La norma, però, non si è voluta fermare! Con l’avanzare delle tecnologie, con le modificazioni climatiche, con le richieste di attrezzature particolari e con un urbanistica in continua evoluzione è necessario conoscere tanti altri dettagli che permettano di creare un sistema manutentivo efficiente e duraturo.

Tra le cose che si rende necessario indicare vi è la segnalazione di possibili aggressivi presenti nei materiali da costruzione che sono stati utilizzati sopra, sotto, attorno al nostro pacchetto impermeabile, ma soprattutto quelli che possono provenire dall’ambiente circostante. Uno di questi aggressivi è stato previsto da tempo dai Vigili del Fuoco nel caso di costruzione di impianti fotovoltaici: il fuoco. In questo caso vi è l’imposizione di utilizzare materiali ignifughi o che ritardino la propagazione del fuoco.
Questo esempio ci pone un pensiero molto importante. Più che in un piano di manutenzione è necessario che queste particolarità vengano valutate in fase progettuale. Se vi è un aggressivo chimico presente nell’aria dovremo valutarlo molto bene prima di eseguire l’impermeabilizzazione. Allo stesso tempo i produttori di materiali edili dovranno cominciare a rispondere alle domande degli esperti e dei progettisti circa la compatibilità chimica di alcuni additivi che vengono ulitizzati che, si sa, causano l’obsolescenza precoce dei manti impermeabili.
Quindi possiamo dire che questi dati devono essere valutati dal progettista o dagli esperti che fungono da consulenti, ma potrebbe esservi l’esigenza di segnalare in “corso di vita” la presenza di nuovi aggressivi in precedenza assenti.

Il manuale d’uso della copertura, quindi, altro non è che uno strumento di consultazione dove vi è tutto quanto si può ricercare sulla copertura, sulla sua storia e sul suo futuro. E’ importantissimo saperlo leggere ed è altrettanto importante saperlo aggiornare.

Si potrebbe pensare che per una copertura di piccole dimensioni sia un’esagerazione tutto questo, ma la filosofia della norma non ci vede manutentori per rispondere a garanzie e dopo 10 anni dimenticarcene, ma propone alla proprietà di dare vita utile e lunga alla propria copertura; prevede di anticiparne i costi e le caratteristiche in modo tale da poter programmare le eventuali spese e prevede che vi sia sempre un occhio esperto che la controlli.

Piuttosto vi è da chiedersi come facciamo a capire chi è esperto e chi no. Questo è un dilemma tutt’ora irrisolto! Diciamo che bisognerebbe cercare di approfondire le conoscenze di un manutentore, eventualmente affiancandolo ad un esperto di propria fiducia o di comprovata capacità.

Effettivamente possiamo vedere la figura dell’esperto divisa in due figure specifiche e non concorrenti: un controllore visuale ed un operatore manuale (non previsti dalla norma).

Il controllore visuale è colui che conosce tutto e tutti i dettagli della copertura, che è capace di vedere le singole criticità e che possa far intervenire l’operature manuale.

L’operatore manuale è un impermeabilizzatore professionista che è in grado di maneggiare tutti i materiali specifici e può, in collaborazione con il controllore visuale, studiare le migliori strategie per rendere la manutenzione della copertura il meno oneroso possibile a parità di garanzie.

Ah già, le garanzie! Non si parla di garanzie! Nella norma vi è un accenno solo ai documenti che il posatore o il produttore possono dare! La filosofia della norma non prevede che vi sia un termine alle garanzie! Prevede che la copertura abbia una durata e per tale lasso di tempo funzioni sempre al meglio! Per questo richiede la presenza di specialisti! Possiamo, a questo punto, parlare di cosa sia uno specialista. Anche qui non abbiamo attestati, non abbiamo diplomi, non abbiamo corsi che possano abilitare un operatore, ma possiamo avere un curriculum, possiamo valutare la cultura personale circa i materiali e i metodi di posa. Sarebbe opportuno, a questo punto, che venisse creato un metodo per capire chi sa e chi non sa spostando la trattativa commerciale dal prezzo totale alle capacità tecniche.

In conclusione la copertura è fatta per durare decenni, non possiamo pretendere che costi poco e che venga messa in mano ad inesperti ed improvvisati operatori della domenica. La norma è chiara, parla di progettazione, di sistemi di qualità! Questi parranno anche esborsi esagerati, ma se spostiamo l’attenzione dal momento in cui vengono spesi i soldi ad un più ampio periodo temporale per avere una visuale completa di tutta la vita della copertura vediamo che il costo è ridicolo confrontato al costo dell’approsimazione in cui viviamo oggi.