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UNI 11540/2014 – Linee guida per la redazione e corretta attuazione del Piano di Manutenzione di coperture continue


L’evoluzione delle coperture sta compiendo un grande balzo in avanti aggiungendo alle normative sulla fabbricazione delle membrane flessibili, sulla creazione di coperture continue anche una norma sulla manutenzione, o meglio sull’attuazione di un piano di manutenzione. Piano complesso ed articolato che vede la sua realizzazione in una serie di progetti e documenti che tengono conto di tutte le possibilità che si potranno verificare su una copertura. Allo stesso tempo abbiamo un piano dinamico che si può modificare nel tempo in base alle esigenze mutate o al mutamento delle condizioni di utilizzo della copertura.

Analizziamo nel dettaglio la norma sperando che possa essere applicata nel più ampio caso possibile; come al solito sostengo che ogni committente dovrebbe essere supportato da un progettista che ne faccia le veci o che ne curi gli interessi sulla copertura. Con questo progettista l’applicatore, o l’esperto che lo segue, potrebbe creare il complesso articolato che sarà la manutenzione futura.

a) MANUALE D’USO per la fruizione della copertura anche in relazione alla presenza di impianti tecnologici
b) PIANO DI MANUTENZIONE che contiene le informazioni tecniche necessarie per la verifica e gli interventi durante la vita utile del sistema impermeabile
c) PROGRAMMA DI MANUTENZIONE che contiene le fasi e i tempi di controllo delle ispezioni per una corretta gestione della copertura

I riferimenti normativi che vanno considerati circa questa norma sono la: UNI 9307-1 (coperture continue – istruzioni per la progettazione – parte 1° – elemento di tenuta) e la UNI 11345 (Attività di controllo per le fasi di progetto esecuzione e gestione di coperture continue).

Definizioni:

Committente
Direttore dei Lavori
Durabilità: Attitudine del sistema di copertura e/o dei suoi elementi e strati a mantenere nel tempo i prori livelli prestazionali e funzionali al di sopra di un asoglia critica sotto la quale si manifesta un determinato guasto che comporta un processo irreversibile di obsolescenza.
Elemento di tenuta: strato impermeabile
Fruibilità: attitudine di un sistema di copertura ad essere correttamente utilizzato da parte degli utenti.
Funzionalità: Insieme delle condizioni tecniche che consentono il conseguimento delle finalità richieste al sistema di copertura.
Gestione della Manutenzione: Tutte le attività di gestione che fissano gli obiettivi, le strategie e le responsabilità afferenti alla manutenzione e che le attuano utilizzando strumenti quali la pianificazione, il controllo e la supervisione della stessa, nonché il miglioramento di attività di Manutenzione.
Impresa Generale: vedi UNI 11345
Impresa Specialistica: vedi UNI 11345 – nel caso in cui l’impresa specialistica si assuma direttamente l’esecuzione dell’opera, come nel caso di ripristini, essa si assume anche i compiti e le responsabilità dell’impresa generale
Ispezionabilità: attitudine a consentire/facilitare il controllo del sistema di copertura e/o dei suoi elementi e strati.
Ispezione
Manutenibilità: Attitudine di un sistema di copertura ad essere manutenuto o ripristinato in uno stato tale da conservare i requisiti funzionali previsti dal progetto, quando gli interventi possono essere effettuati in modo agevole o dettando le procedure e le risorse prescritte dal manuale di Manutenzione.
Manutenzione Correttiva: Manutenzione eseguita a seguito della rilevazione di un guasto funzionale e volta a riportare il sistema di copertura e/o i suoi elementi e strati i un ostato in cui essa possa riassumere le sue funzioni previste in progetto.
Manutenzione di un sistema di copertura: Combinazione di tutte le azioni tecniche, amministrative e gestionali durante il ciclo di vita del sistema di copertura e/o dei suoi elementi e strati, finalizzati a mantenere o riportare le stesse in uno stato in cui possa espletare le funzioni richieste.
Manutenzione preventiva o secondo condizione: Manutenzione eseguita secondo criteri prescritti e previsti per ridurre la probabilità di guasto o il non corretto funzionamento del sistema di copertura e/o dei suoi elementi e strati.
Manutenzione programmata: Manutenzione eseguita ad intervalli predeterminati, secondo un programma temporale stabilito
Modulo di controllo: Modulo preimpostato atto alla registrazione dei controlli da eseguirsi secondo il programma di manutenzione.
Modulo di Manutenzione: Modulo per la registrazione degl interventi di Manutenzione attuati.
Progettista del sistema di copertura: vedi UNI 11345
Registro di Manutenzione: raccolta delle registrazioni inerenti le attività di controllo e gli interventi di manutenzione effettuati.
Regola dell’arte: Insieme delle tecniche considerate corrette degli specialisti del settore per l’esecuzione di determinate lavorazioni del sistema di copertura. Le leggi dello Stato quale riferimento primario e le norme produtte da enti di normazione, quando disponibili, costituiscono un qudro di riferimento per valutare la rispondenza di un’opera alle regole dell’arte. In assenza completa o parziale di riferimenti normativi le linee guida promosse da associazioni professionali identificano e costituiscono interpretazione referenziale delle regole dell’arte. Le guide emesse dai singoli produttori costituiscono Regola dell’Arte per l’applicazione dei materiali prodotti dal produttore stesso.
Responsabile del servizio di manutenzione: responsabile delle attività di pianificazione organizzazione, esecuzione e controllo relativo alla Manutenzione del sistema di copertura.
Riparazione: Azione eseguita per ripristinare le funzioni di un sistema di copertura e/o dei suoi elementi e strati richieste.
Ripristino (del sistema di copertura o di un singolo elemento o strato costituente): Tutte le attività d’intervento necessarie per riportare il sistema di copertura, o il singolo elemento o strato, alle funzioni originarie.
Servizio di Manutenzione: Insieme organizzato delle attività necessarie alla Manutenzione del sistema di copertura.
Sistema di copertura: Insieme costituito da tutti gli elementi o strati primari e complementari costituenti la copertura.
Sistema di tenuta: Insieme costituito dall’elemento di tenuta e dagli elementi o strati accessori e complementari che concorrono nella tenuta idraulica della copertura stessa.
Strategia di manutenzione: Metodo gestionale utilizzato allo scopo di raggiungere gli obiettivi della Manutenzione.
Utente
Verifica di Funzionamento: Attività effettuata dopo un’azione di Manutenzione per verificare che il sistema di copertura e/o i suoi elementi o strati siano in grado di funzionare come previsto in progetto.
Vita Utile: Intervallo di tempo dalla fine dei lavori fino al momento in cui il sistema di copertura o un suo elemento o strato non può più svolgere la sua funzione senza interventi di Manutenzione straordinaria. Tale intervallo è convenzionalmente legato allo stato dell’arte maturato nel settore e all’evoluzione di materiali e prodotti presenti sul mercato.

Già così abbiamo molto da imparare, ma le definizioni sono sempre utili per evitare confusione sulla nomenclatura utilizzata. Le voci senza definizioni sono semplici e non ho copiato la norma!

RESPONSABILITA’ OPERATIVE

Per una costruzione nuova il Progettista deve redigere il Piano di Manutenzione e la Direzione Lavori deve verificare la correttezza di ciò che vi è scritto dentro. Nel caso di difformità dovrà proporre al progettista le variazioni che dovranno, da lui, essere autorizzate ed inserite nel piano di manutenzione. Al momento dell’ultimazione dell’opera il Piano deve essere consegnato al committente. La proprietà sarà responsabile e conserverà l’archivio con tutti i documenti allegati.
Il Gestore della Manutenzione, al momento della presa in carico, deve controllarne la correttezza. Nel caso in cui non la rilevi dovrà segnalare al progettista le modifiche da fare. Nel caso, invece di una vecchia costruzione la differenza statà nel fatto che il Gestore della manutenzione, nel caso di difformità del piano di Manutenzione o di assenza di tale piano, dovrà passare ad un progettista incaricato l’onere di costruirlo o di correggerlo; per farlo, il progettista, dovrà attuare tutte le azioni necessarie per ricostruire la documentazione e le attività svolte nel tempo passato. Se non si trova decumentazione o non è ricostruibile il progettista potrà arrivare a carotare l’impermeabilizzazione, per capire quali e quanti strati vi sono nel pacchetto, o addirittura portare in laboratorio i materiali carotati per sudiarli.

Questa sezione della norma è particolarmente importante in quanto autorizza il progettista ed il Gestore della manutenzione a costruire una documentazione completa per avere una fotografia attuale della situazione. In ogni copertura, dove vi sia la necessità di una manutenzione, è importante sapere su cosa si lavora e quale metodologia di posa sia stata utilizzata. Pensate ad un tetto piano dove vi sono 7 strati di guaina bituminosa e si richiede di porre termine alle infiltrazione: in questo caso è necessario che vi siano le figure investite dell’incarico di studiare lo stato dell’opera per avere la certezza che la manutenzione straordinaria possa funzionare veramente. Le due figure (il progettista ed il gestore della Manutenzione) devono essere nominati dalla proprietà e non dalle imprese incaricate.

REQUISITI MINIMI DEL PIANO DI MANUTENZIONE

Il piano di Manutenzione è composto da tre documenti: il Manuale d’Uso, il Manuale di Manutenzione e il Programma di Manutenzione. Il piano di Manutenzione può essere anche integrato al piano globale di Manutenzione dell’involucro edilizio.

Ci sono due livelli di manutenzione il Livello 1 (manutenzione normale per piccole coperture) e il Livello 2 (un piano ottimale per coperture complesse o grandi). Il Livello 2 è sempre obbligatorio nel caso di coperture superiori a 3000 mq.

Il Responsabile della Sistema di Manutenzione dovrà mantenere completa la raccolta dei documenti circa gli interventi ed, eventualmente, integrare tale raccolta con tutto ciò che reputa necessario. Tra le azioni che possono essere necessarie vi è la possibilità di sondare la copertura.

Come si può notare tutta questa norma sta portando una singola copertura ad avere azioni autonome molto simili a quella più complessa delle certificazioni di qualità! Ovviamente rispettare un piano di manutenzione mal creato o gestito male non porta certo ad avere una copertura continua longeva e perfetta; avere, d’altro canto, una gestione dettagliata, flessibile e precisa potrà portare la copertura ad avere una vita particolarmente lunga. Questo significa che il primo intervento di manutenzione lo si può ravvisare nella costruzione della copertura stessa. Usare materiali longevi e performanti farà calare vistosamente i costi manutentivi lasciando inalterate le caratteristiche di impermeabilità.

MANUALE D’USO

Lo scopo del Manuale d’uso è dare informazioni per:
conoscere le modalità per la migliore utilizzazione del sistema di copertura
conoscere gli elementi necessari per limitare quanto più possibile i danni derivanti da usi impropri
conoscere le operazioni ordinarie per mantenere in perfetta efficienza la copertura.
Da questo si evince che il manuale d’uso deve contenere almeno le seguenti informazioni:

  1. La collocazione delle coperture all’interno dell’involucro edilizio individuando le varie zone di copertura a cui fa riferimento il Piano di Manutenzione;
  2. La rappresentazione grafica planimetrica delle coperture dell’edificio con le indicazioni seguenti:
    1. Destinazione d’uso della copertura:
      1. Pedonabile solo per manutenzione del manto
      2. Pedonabile solo per manutenzione del manto e delle macchine poste sulla copertura
      3. Perdonabile per uso privato
      4. Perdonabile per uso pubblico
      5. Carrabile leggero (< 2t per asse)
      6. Carrabile pesante (> 2t per asse)
      7. Verde intensivo
      8. Verde estensivo
      9. altro
    2. Posizionamento degli impianti, lucernari, corpi emergenti, esalatori, bocchettoni di scarico, camini, e quanto altro potrebbe essere sulla copertura
    3. Sistema di raccolta delle acque meteoriche
    4. Disposizione degli accessi e apprestamenti di sicurezza (linea vita, percorsi segnalati, ringhiere perimetrali etc.)
  3. Composizione del sistema impermeabile comprensivo di schede tecniche, tipologia di posa (a colla, a secco, a fiamma, con fissaggio meccanico perforante e non perforante etc.), dati dei materiali utilizzati
  4. Individuazione di eventuali aggressivi sia nei materiali sia nelle vicinanze, sia in loco
  5. Incompatibilità e attenzioni circa i prodotti e le attrezzature da utilizzarsi nella Manutenzione Ordinaria
  6. Individuazione del Responsabile della Manutenzione, compresi i recapiti.

Il livello 1 e 2 hanno lo stesso contenuto.

A parte l’elencazione delle varie eventualità c’è una cosa importantissima che è stata inserita nel punto 4) ossia la ricerca di eventuali incompatibilità chimiche tra il manto di copertura e gli elementi ai quali sono stati agganciati o abbiano contatti. Come ricorderete spesso si presentano incompatibilità con i sottofondi alleggeriti, particolarmente basici, contenenti tensioattivi etc. In questo caso l’eventuale danno deve essere considerato nel Manuale d’uso; ma questo comporta che chi redige tale documentazione sia preparato e segua costantemente corsi d’aggiornamento; pertanto si rende necessario che il progettista incaricato della redazione sia affiancato da una figura professionale esperta nel settore che possa aiutarlo a prevedere ogni situazione si possa effettivamente verificare sulla copertura. Essendo il piano legato non alle garanzie legali, ma alla vita utile dello strato di copertura è essenziale che vengano presi in considerazioni eventi e danni che si possono realizzare anche nel lungo periodo. Per fare un esempio è fondamentale che vengano considerati gli shock termici di una copertura piana o di una conversa in una copertura discontinua (metallica) etc.

MANUALE DI MANUTENZIONE

Anche qui abbiamo una lunga elencazione di caratteri che devono essere compresi in un manuale; in particolare possiamo dire che il manuale deve contenere il corretto procedimento manutentivo e la possibilità di ricorso a manodopera specializzata.

Ricordiamo che la manutenzione è può essere di due livelli.

LIVELLO 1:
1) posizionamento dello strato a tenuta all’interno dell’involucro edilizio
2) individuazione degli scarichi e le altezze dei risvolti verticali perimetrali o dei corpi fissati sulla copertura
3) Azioni di manutenzione da far eseguire alla proprietà
4) Azione di manutenzione da far eseguire a personale specializzato

LIVELLO 2:
1) Posizionamento dello strato a tenuta all’interno dell’involucro edilizio
2) Rappresentazione grafica della stratigrafia con indicazione dettagliata dei materiali utilizzati e dei particolari esecutivi;
3) Schede tecniche dei materiali utilizzati
4) Informazioni dettagliate sullo smaltimento delle acque meteoriche oltre all’indicazione e misurazione dei risvolti verticali sui muri perimetrali.
5) Documentazione di garanzia, polizze assicurative rilasciate dall’impresa generalista, dall’applicatore o dal produttore dei materiali
6) Relazioni riguardanti le metodologie di vincolo dello strato a tenuta (zavorra, fissaggio meccanico, fissaggio ad induzione etc.) sia di tutta la stratigrafia, sia di eventuali singoli strati per contrastare l’azione del vento e della pioggia
7) Documenti di collaudo ed eventuali sistemi predisposti per la ricerca di eventuali perdite
8) Documenti di Non conformità venute in essere sia durante la costruzione, sia durante i collaudi da tutti i soggetti coinvolti.
9) Descrizioni delle risorse necessarie per l’intervengo manutentivo.
10) Livello minimo delle prestazioni della copertura
11) Anomalie riscontrabili
12) Manutenzione da farsi eseguire direttamente dalla proprietà
13) Operazioni di manutenzione da far eseguire a manodopera specializzata.

Il manuale deve continuamente essere aggiornato mediante la compilazione dei moduli, ma anche con la modifica del manuale stesso. Tutte le figure coinvolte devono partecipare alla redazione ed aggiornamento del manuale in modo che sia sempre prestazionale e possa garantire il massimo delle prestazioni dalla copertura continua.

Ovviamente deve contenere anche tutti i dati del responsabile delle manutenzioni.

La parte più innovativa direi che possiamo vederla nel punto 10 dove si parla di “Livello minimo delle prestazioni”. Finalmente viene dichiarato come deve funzionare e questa dichiarazione deve avvenire in fase di redazione della documentazione sulla copertura.
Il livello minimo delle prestazioni riguarda:
Tenuta all’acqua
Drenaggio delle acque meteoriche
Sicurezza sulla copertura
Consumi energetici
Condensa interstiziale
Coesistenza tra agenti biologici e chimici
Coesistenza meccanica
fruibilità
ispezionabilità manutenibilità
isolamento acustico
rumori aerei ed impattivi

Come si può notare i dati da inserire sono eterogenei e tendono a dare una visione completa che va oltre la normale concezione di copertura. Tra gli elementi si parla di fruibilità della copertura, si parla di sicurezza della copertura, ispezionabilità etc. Questi dati sono sempre stati utilizzati dai migliori progettisti, ma sono sempre stati evitati da coloro che vedono nella copertura un semplice confine del fabbricato.
Da quando vi è stato il boom delle energie rinnovabili, la copertura è divenuta una fonte di reddito che può avere una sua vita e delle sue regole specifiche. Se vediamo nella copertura non solo uno strumento per coprire l’edificio, ma anche per migliorare l’ambiente circostante mediante giardini pensili, o verniciature fotocatalitiche allora capiamo che non dobbiamo limitarci a capire quale garanzia possiamo avere o quali garanzie ci vengono concesse dalla legge ma dobbiamo far sì che la copertura sia sempre fatta con i migliori materiali, con la migliore manodopera e la migliore progettazione richiedendo ai tecnici che opereranno il meglio delle loro conoscenze. Non solo, passeremo dall’avere un centro di costo immediato ad un costo di vita della copertura dove il costo manutentivo (sia ordinario sia straordinario) diventa fondamentale per capire quale valutazione avrà per tutta la vita della copertura stessa.

E’ elencata, nella norma, anche una tabella circa le situazioni di rischio, cosa le causa e le conseguenze che vogliono dare un esempio ampio, ma non esaustivo, di cosa dovrebbe contenere un manuale di Manutenzione.

CORRELAZIONE TRA AGENTI, AZIONI, EFFETTI

  • Stati tensionali da carichi dinamici da agenti atmosferici, elementi correlati (Scossaline etc.) e elementi in copertura non correttamente fissati – vento, grandinePunzonamento con lesioni
  • Stati tensionali da carichi statici, dinamici per uso improprio della copertura – Scarpe non idonee, uso non previsto, deposito di detriti e/o oggetti – Affondamenti, lesioni, incisioni, punzonamenti, perdite immediate
  • Stati tensionali da carichi puntuali o lineari – Rivestimenti protettivi fessurati o rotti (quadrotti), attrezzature ed impianti direttamente posati sul manto impermeabile – Affondamenti, lesioni, incisioni ed eventuali infiltrazioni
  • Stati tensionali sotto carico del supporto – Pannelli isolanti non resistenti come da progetto, pannelli isolanti non resistenti perchè deteriorati a causa di infiltrazioni e/o condensa interstiziale – Affondamenti, lesioni, incisioni ed eventuali infiltrazioni
  • Stati tensionali dati da variazioni termiche 3/o umidità del supporto – Pannelli isolanti non fissati, instabili, giunti di dilatazioni non riportati sul manto impermeabile o non trattati – Corrugamento, lesioni, infiltrazioni
  • Stati tensionali dovuti ad escursioni termiche o da protezioni termiche fisse (massetti) – Mancanza di giunti di dilatazione o di tamponamento sui muri perimetrali che creano tensioni dovute al momento della protesione termica – Punzonamento, lesioni, incisioni con eventuali infiltrazioni
  • Stati tensionali in corrispondenza di elementi fissi della copertura – Contrazioni (termiche o da invecchiamento) impedite dovute alla connessione meccanica con elementi complementari – Stiramenti, lesioni vicini ai punti fissi, ondulazioni in angolo o superficiale, distacchi delle sovrapposizioni e/o degli strati presenti, deformazione e/o estrazione dei fissaggi, infiltrazioni
  • Stati tensionali in corrispondenza di elementi fissi – Vento, movimento o impedimenti – Stiramenti, lacerazioni, lesioni, ondulazioni in angolo e superficiali, dislocamento di elementi complementari e loro ricaduta, distacchi di sormonte e/o strati, deformazione e/o estrazione dei fissaggi meccanici
  • Esposizione alla radiazione solare, ombreggiamenti, concentrazione di irraggiamento solare, ristagni – Surriscaldamento naturale e aumentato da superfici riflettenti (vetri, lattoneria, coperture metalliche) , ombreggiamenti perenni (palazzi vicini, muretti), dinamiche di ombreggiamento – Invecchiamento precoce, perdita di massa ed esposizione di armature, reptazione, coccodrillatura, sfogliamento, sfarinamento e lesioni dell’elemento di protezione (pitture, etc.)
  • Alterazione chimico-fisica, meccanica dell’impermeabilizzazione – Depositi biologici sulla copertura (liquami, foglie, animali morti, etc.) con conseguente attacco batterico – Invecchiamento precoce, minore resistenza meccanica, perforazioni, radici, possibili infiltrazioni
  • Alterazioni chimico-fisiche, meccaniche dell’impermeabilizzazione – Presenza di depositi di sostanze chimiche aggressive sull’elemento di tenuta. Incompatibilità chimico fisica con strati contigui – Invecchiamento precoce, effetti variabili sulla reologia del compound in funzione della caratteristiche dell’aggressivo (diminuzione di volume)
  • Alterazione chimico/fisica di sigillature di elementi complementari (lattoneria, linee vita, etc.) – Elevata temperatura, escursioni termiche, irraggiamento, insabilità della mescola, azioni meccaniche da parte di animali – Distacchi, alterazioni meccaniche, asportazioni, infiltrazioni

Come detto sopra l’elenco non è esaustivo e può essere modificato, ampliato e corretto. Se, poi, vi sono delle coperture diverse, nello stesso edificio, con esigenze diverse allora bisognerà creare diverse sezioni nel Manuale di Manutenzione in modo che ogni singola copertura sia trattata analiticamente.

PROGRAMMA DI MANUTENZIONE

E’ il programma temporale prefissato dove vengono segnalati gli interventi da eseguirsi in ordine termpare; il programma è, per quanto possibile, organizzato anticipatamente in modo da avere uno scadenziario fisso e chiaro di ciò che deve essere effettuato. Ovviamente non è possibile prevedere ogni situazione e nel piano sappiamo che vengono comprese anche le manutenzioni straordinarie, pertanto è sempre possibile effettuare sopralluoghi ed interventi non previsti sia per urgenza sia per necessità e controlli.

Il contenuto è:
verifiche da effettuare;
risorse (sia della proprietà, sia dello specialista)
frequenza minima
modalità d’intervento.

Non esistono differenze tra il Livello 1 e il 2.

Il programma deve contenere la corretta cronologia degli interventi comprese le azioni correttive da impiegarsi e le eventuali modifiche apportate al Piano di Manutenzione (aggregato al registro di Manutenzione)
I ripristini devono sempre essere preceduti dall’analisi della situazione cogente; q uesto è semplice da capire: non basta mettere una pezza di guaina su una rottura, bisogna anche capire perchè c’è stata la rottura e, oltre a cancellare il sintomo, è necessario togliere anche le cause. Ovviamente l’attività diagnostica deve sempre essere quella massima per capire il problema.
Tutti gli interventi previsti devono essere eseguiti come da descrizione del Manuale di Manutenzione o dalle note dei produttori.
Tutti gli interventi si presumono sempre accettati e si pensa non esistano problemi originari (difetti di posa e difetti di progettazione) ma non si esclude che alcuni di questi difetti possano essere distanti nel tempo e si possano verificare in un futuro lontano dalla creazione della copertura. Il fatto che gli interventi siano valutati sempre perfetti dipende dal fatto che al momento della redazione della documentazione della manutenzione si sono dovute adottare tutte le capacità delle figure professionali incaricate perchè possano scoprire i difetti e porvi rimedio prima della consegna della copertura.
Ovviamente se avviene un problema di infiltrazione non previsto si può prevedere un intervento non programmato; altrettanto se vi sono eventi che possano causare modifiche nella vita della copertura il piano di manutenzione può essere modificato ed il Programma di Manutenzione variato fino ad aumentare gli interventi. A seguito di analisi e degli interventi il piano di manutenzione ed il suo programma sono organismi vivi e vitali che si sviluppano durante tutta la vita utile della copertura; tra i motivi di modifica del programma vi sono principalmente le condizioni climatiche della zona d’intervento.
Nel caso sia necessario un ripristino della copertura questi dovranno essere valutati in base alle cause dell’intervento, dal tipo di materiale usato per la copertura ed alla sua destinazione d’uso che può, nel tempo, variare da quella originaria.

CRITERI DI REGISTRAZIONE DELLE ATTIVITA’ E RINTRACCIABILITA’ DEI DOCUMENTI

La manutenzione della copertura va sempre dimostrata anche se non vi è un intervento correttivo. A questo scopo vi sono alcuni documenti, o moduli di controllo, che devono essere sempre compilati e firmati e devono contenere sempre almeno i seguenti dati:

Data
Durata dell’intervento
Manutentore ed altre persone presenti
Motivo (Programmata, straordinaria)
Situazione meteorologica durante l’intervento
Parti ispezionate (se non vi è tutta la copertura da controllare e se vi sono diverse coperture)
Stato della copertura continua
Rilievi e criticità osservate
Interventi consigliati e loro tempistiche – azione preventiva
Interventi necessari e loro tempistiche – azione correttiva
Interventi necessari e loro tempistiche – ripristini
Suggerimenti

Possono, ovviamente, essere previsti dei moduli dettagliati per le operazioni standard e dei moduli generici per gli interventi non previsti.
Nel registro della manutenzione è sempre utile inserire anche gli interventi eseguiti a ciò che è collegato alla copertura o posto sopra (macchine, antenne, canne fumarie, etc.).
La responsabilità della conservazione dei moduli e manuali è del Responsabile del Servizio di Manutenzione.

Queste pagine lunghissime sono ancora da sviscerare e da spiegare, ma una cosa la possiamo dire tranquillamente: la norma vuole far sì che le coperture continue siano progettate e gestite da professionisti delle impermeabilizzazioni, che i materiali vengano sempre scelti tra i più performanti e che la manodopera, sia in costruzione sia in manutenzione, sia sempre preparata ed organizzata. Si spinge in modo particolare la programmazione e progettazione facendo somigliare la manutenzione di una copertura continua ad un sistema di qualità ISO 9001. Il sistema può funzionare se tutti gli attori si organizzano, preparano ed aggiornano alle esigenze; ma soprattutto se le esigenze della copertura vengono viste con lungimiranza e in proporzione alla vita utile del sistema impermeabile ed alla costruzione su cui è posta.

La complessità della norma non mi da la possibilità di poter fare grandi commenti, pertanto verranno fatti in articoli correlati nei giorni a venire.


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Impermeabilizzanti o idrorepellenti?


Salvaterrazza, riparaterrazza, chebellaterrazza, nonhopiùlaterrazza, chemenefacciodellaterrazza, tantocontinuaaperderelaterrazza, tanti nomi, spesso eloquenti, spesso accattivanti, spesso fallaci!

Ci troviamo troppe volte a valutare un prodotto che ci consenta di impermeabilizzare il balcone o la terrazza di proprietà senza spendere una fortuna con quei ladri degli impermeabilizzatori e, altrettanto spesso, facciamo lavori con prodotti che puzzano incredibilmente, di cui non ci viene fornita una scheda tecnica o di sicurezza e, sempre altrettanto spesso, ci accorgiamo che non serve a nulla!

Chiariamo: quei ladri degli impermeabilizzatori, almeno quelli seri, danno garanzie di 10 anni, come legge vuole, fanno corsi di aggiornamento, curano i dettagli (i veri colpevoli di tantissime perdite d’acqua) in modo maniacale e vi forniscono una terrazza che finalmente può essere utilizzata! ah… questi personaggi si permettono anche di consigliare caldamente una manutenzione a pagamento! consiglio: FATELO! SEGUITE I LORO CONSIGLI! ovviamente non è facile capire chi è bravo e chi no… ma per questo vi raccomando di andare su questo blog e capire come si usano i materiali e come si scelgono, già questo vi permette di capire chi sa e chi no!

Tornando ai nostri prodotti magici chiariamo che NON SONO IMPERMEABILIZZANTI! per quale motivo? semplicemente perchè non ne fanno parte! non rispondono alle normative sulle coperture continue e, pertanto, non possono arrogarsi il diritto di esserlo!

Ma sono proprio delle truffe? no! specialmente se non ci aspettiamo i miracoli! questi materiali sono degli idrorepellenti, ossia delle sostanze che non permettono all’acqua di penetrare dentro le microfessurazioni o microcavità dei materiali edili grazie all’azione che compiono sulla tensione superficiale (fateci caso, tutti i filmati e le foto di questi prodotti fanno vedere una goccia intera supra un pezzo di superficie varia). Non solo, hanno una leggera funzione consolidante che, per pavimentazioni in buono stato, può essere un buon sistema manutentivo e protettivo.

La loro funzionalità dipende principalmente da una sostanza che i nostri vecchi (quelli che vivevano prima dei polimeri sintetici) utilizzavano per pulire e per idrorepellere: la nafta! ebbene sì, uno degli ingredienti principali è proprio la nafta! A causa di questi componenti gli idrorepellenti da balcone sono spesso di una pericolosità inusitata! Scaricatevi la scheda di sicurezza, prima di comprarlo e vedrete che non lo farete!

Se tutto va bene le indicazioni di etichettatura obbligano il produttore ad indicare le seguenti caratteristiche:
F (Facilmente infiammabile)
Xn (Nocivo)
Xi (irritante)
N (pericoloso per l’ambiente)

E queste sono le situazioni minori, ce ne sono alcuni che hanno come etichettatura F+ (estremamente infiammabile, vuol dire che può prendere fuoco a temperature di 40°C).

Non solo se guardiamo la sezione delle frasi di rischio vediamo una lunga ed interminabile lista di cose che non ci piacciono per nulla, un po’ come se leggessimo il foglietto illustrativo dei medicinali… solo che questi non ci salvano la vita!

Pertanto cosa fanno questi materiali? semplicemente evitano che la goccia d’acqua rompa la propria tensione superficiale scivolando via secondo la pendenza; reggono una colonna d’acqua che potrebbe raggiungere i 10 cm (capite perchè non funzionano con la neve), se contengono polimeri consolidanti (silano silossani, fluorurati etc.) vanno a colmare le microcrepe e microcavità che si sono formate sulla piastrellatura o nella fugatura; vanno dati spesso sapendo che più si utilizza il balcone più si logora il trattamento… anzi più lo si lava più questo si logora!
Attenzione a lavare i balconi trattati con questi materiali; essendo uno dei componenti la nafta (un solvente oleoso chiamato anche petrolio, non quello dei barili, ovviamente) è sensibile ai tensioattivi dei detergenti normalmente utilizzati per lavare, come è sensibile ai tensioattivi contenuti nei materiali da costruzione e latenti! pertanto è necessario, per dare questi prodotti, che il supporto sia asciutto anche al suo interno!

Perchè non sono impermeabilizzanti, in fondo spesso scrivono così! perchè per essere impermeabilizzanti, innanzitutto, è necessario che abbiano una funzionalità certificata di 10 anni come minimo! alcuni prodotti dicono che durano 10 anni, peccato che il produttore si sia dimenticato che i cicli gelo disgelo non indicano la durata del prodotto!

Come ho detto sopra sono un ottimo sistema per fare manutenzione ordinaria al balcone proteggendo il vero e proprio strato a tenuta. Non è indicato con sistemi impermeabilizzanti a malte elastiche in quanto la nafta ne scioglie i legami, così come tutti gli altri solventi contenuti negli idrorepellenti.

Ultima cosa: la foto in alto non vuole accusare alcuni prodotti a discapito di altri, ma è semplicemente indicativa in quanto tutti i prodotti del genere non funzionano come impermeabilizzanti!


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Blog costruzione assistita - autocostruzione

Intervista a Matteo Mattioli, un autocostruttore


Arcangelo: Direi di iniziare con una piccola presentazione; io sono Arcangelo Guastafierro, presidente della coopertavia Consumomeno e redattore del blog presente sul sito

Matteo: io sono Matteo Mattioli, impiegato di 40 anni, abito a Ravenna e mi sono avvicinato all’autocostruzione nel 2006, partecipando ad un progetto di autocostruzione assistita del Comune di Ravenna.

A: Spiegami una cosa, Autocostruzione assitita?

M: E’ una forma di autocostruzione che prevede ci sia una regia del progetto, che detti tempi e modalità degli interventi degli autocostruttori che rappresentano la manovalanza, la manodopera della costruzione.

A: Il motivo per cui ti sei avvicinato al progetto?

M: Principalmente economico. All’epoca avevo un lavoro di tipo discontinuo con dei contratti a tempo determinato. Ero fidanzato e convivevo da qualche anno e quindi avevo idea di mettere su famiglia, ma sapevodi essere un soggetto non bancabile, a cui una banca non avrebbe mai concesso un mutuo per acquistare una casa. E’ stato piuttosto casuale la lettura di questo manifesto del Comune di Ravenna su cui c’era scritto che l’amministrazione comunale istituiva una graduatoria che avrebbe permesso a famiglie giovani con un reddito basso di poter acquistare una casa a prezzi molto più vantaggiosi rispetto a quelli del mercato.

A: Più o meno era il motivo anche degli altri autocostruttori?

M: più o meno era il motivo anche delle altre famiglie. Erano tutte famiglie giovani, il progetto era rivolto principalmente a famiglie al di sotto dei 42 anni. Inoltre erano famiglie che avevano redditi medio bassi, quindi il motivo principale era economico, senza dubbio.

A: Com’è andata l’abbiamo letto sul tuo blog. Sappiamo che purtroppo non è andata bene. Diventa però interessante sapere com’era la gestione del cantiere, come vi trovavate, cos’è successo tra di voi, tra gli autocostruttori, se sono nate delle amicizie, se sono nate delle inimicizie; insomma cosa succedeva in cantiere, non tanto dal punto di vista tecnico, quanto da quello umano.

M: l’esperienza più bella del cantiere è stata sicuramente l’esperienza umana e l’esperienza lavorativa, pratica. L’esperienza umana perché abbiamo cominciato a conoscerci lavorando insieme, in cantiere c’erano persone di diverse nazionalità (il progetto era sociale, promuoveva l’integrazione), che non si erano mai viste prima. Abbiamo stretto amicizia subito, e abbiamo continuato a mantenere un ottimo rapporto, anche nelle difficoltà. Siamo stati fortunati perché da altre parti non è stato così. Di incomprensioni, ce ne sono state anche nel nostro cantiere, però sono state sempre gestite in maniera piuttosto semplice, comunicando e affrontando le motivazioni. Cose che possono succedere quando si fa fatica, quando si è stanchi di lavorare, magari durante gli inverni freddi quando uno vorrebbe stare a casa con i propri figli, invece di ritrovarsi a lavorare in un cantiere edile. Non è da tutti.

A: quanti edili c’erano tra gli autocostruttori?

M: ce n’erano tre: uno era capocantiere, un’altro faceva il piastrellista a cui poi se n’è aggiunto un terzo anch’egli capocantiere, padre di un socio. Tre persone su un totale di 40 persone che hanno gravitato attorno all’opera. Per l’esperienza che abbiamo vissuto ti posso dire che non necessariamente chi lo fa di mestiere sia più bravo di uno alle prime armi.

A: Voi avete fatto tutto da soli, partendo dallo scavo fino alla posa del tetto?

M: Sì, anche se abbiamo avuto qualche piccolo aiuto. Lo scavo, ovviamente, non lo abbiamo realizzato noi, ma abbiamo chiamato una ditta che lo realizzasse con un semplice scavatore. Il lavoro è stato eseguito male, troppo di fretta e abbiamo dovuto togliere molta terra a forza di braccia, con il badile. Abbiamo avuto anche una ditta che ha legato le gabbie delle fondamenta, erano tre ragazzi che hanno lavorato con noi per tre mesi circa, a cui ci siamo comunque affiancati durante i week end. Il lavoro di legatura del ferro delle fondazioni è durato molto tempo: 5/6 mesi.

A: Quindi c’eravate anche voi?

M: Sì, c’eravamo anche noi. Soprattutto io. Infatti ho capito che il lavoro più duro di tutto il cantiere è quello del ferraiolo, non è il muratore!

A: Tu sconsiglieresti di fare le fondazioni? Prenderesti un carpentiere che le fa?

M: Prendete le gabbie già fatte. È un lavoro che uno può paragonarlo a quello della costruzione di una piramide. E’ molto pesante, bisogna essere abituati alla fatica fisica…

A: Hai detto vari mesi, ovviamente nell’autocostruzione non si lavora 5 giorni la settimana.


M: Noi in quel periodo lavoravamo 7 giorni la settimana.

A: Tutti i giorni eravate in cantiere?

M: Si, tutti i giorni.

A: Ma in quali orari, ognuno di voi non aveva anche un lavoro?

M: In quel periodo, come ti dicevo, svolgevo lavori a tempo determinato. Il cantiere cominciò a novembre e io avevo appena finito di lavorare in campeggio, quindi ho avuto tutto l’inverno libero da trascorrere in cantiere a fare il ferraiolo, dalle 7 del mattino alle 5 del pomeriggio.

A. Come gestivate l’apporto del tempo? Una delle cose che ho notato, parlando di autocostruzione, è il cercare di rendere equo il tempo lavorato da tutti gli autocostruttori.

M: Io avevo dato la mia disponibilità, comunicandolo ai miei colleghi, a lavorare in cantiere tutti i giorni della settimana in quel periodo mentre da Aprile a Settembre non sarei stato più disponibile. Ho quindi concentrato il mio lavoro nel periodo invernale e ho affiancato questa ditta che era stata presa per il lavoro di legatura del ferro, con la possibilità di controllare anche il loro lavoro

A: Per gli autocostruttori c’eri tu e?

M: C’ero io e basta.

A: L’assistente dov’era? Era autocostruzione assistita… quindi?

M: Quella è stata una balla colossare?

A: Non c’era un capo cantiere?

M: C’era ma si divideva su tre cantieri.

A: Lasciamo stare la vicenda in sé stessa. Capocantiere era sostanzialmente il ferraiolo.

M: Sì, certo.

A: Punto di vista della sicurezza, come l’avete gestito?

M: La sicurezza era lasciata alla libera interpretazione di ciascuno di noi.

A: Cioè siete stati attenti a non farvi male.

M: Esatto, siamo stati attenti a non farci male. Quando abbiamo aderito a questo progetto era previsto che ci sarebbe stato un corso della sicurezza, gestito da Alisei Ong, e la gestione della sicurezza doveva essere controllata dal comune, come da accordi. Invece il comune non è mai venuto in cantiere a controllare alcunché.

A: Mai venuto in cantiere?

M: Mai venuto in cantiere per i primi due anni. E’ venuto ad ottobre del 2008 dopo che abbiamo denunciato che c’erano dei problemi.

A: Torniamo alla costruzione. Mi ricordo quando ci siamo conosciuti, sono venuto da voi a Filetto dove vidi una struttura fatta in blocchi in legno cemento gettati con calcestruzzo all’interno. La scelta dei materiali chi l’ha fatta?

M: Il progettista, cioè Alisei Ong

A: E voi non avete potuto dire nulla?

M: Assolutamente no.

A: E secondo te invece è giusto che l’autocostruttore possa mettere becco nel progetto? Chiaramente limitato a quelle che possono essere le sue conoscenze, non certo a fare i calcoli del cls.

M: Sarebbe l’ideale. Abbiamo però sempre dovuto subire questa imposizione e abbiamo imparato sulla nostra pelle che era una cosa assurda e sbagliata. Per farti un esempio, all’interno delle nostre case non c’era campo telefonico, talmente tanto ferro era stato usato nelle gettate dei muri.

A: Perdonami, cosa c’è allora di ecologico in questo blocco?

M: Assolutamente niente, ovviamente.

A. Lo vendono come eco. Se la casa la dovessi fare oggi come la faresti? Che materiale utilizzeresti?

M: Io userei il legno in prefabbricati modulari, oppure lo farei di paglia il riempimento, intelaiatura in legno e riempimento in paglia.

A: Comunque struttura in legno

M: Assolutamente in legno. Per tantissimi motivi che tu sai.

A: Sai bene che io sposo il legno, io amo le case a telaio!

M: Anche per motivi di sicurezza, usare il cemento è pericoloso, fare le gettate… siamo stati investiti da esplosione di muri, e anche la pericolosità di utilizzare strumenti che devono vibrare il cemento e tantissimi altri motivi. Poi c’è la questione salutare: il cemento è un materiali freddo che trasmette umidità.

A: Il cemento è ottimo per fare la platea. Non per fare le case, su questo siamo d’accordo. Andando avanti quant’è durato il cantiere nei suoi progressi prima che si bloccasse?

M: Il nostro impegno lavorativo è stato portato a compimento. Era previsto che il nostro compito fosse di realizzare il grezzo e le inframezzature tra gli appartamenti, con i relativi scassi e tagliole per gli impianti elettrici, cosa che abbiamo fatto.

A:Quindi dopo ci sarebbe stata l’assegnazione.

M: Ci sarebbe stato l’intervento degli artigiani, impiantisti, pavimentisti e intonacatori, come previsto da progetto e sucessivamente l’assegnazione degli appartamenti, perché ogni familgia decidesse come terminare le varie finiture, colore dei pavimenti, delle porte, etc
Quindi il nostro lo abbiamo fatto, in due anni e mezzi, dal novembre 2006 a luglio 2009 .

A: Lavorando sostanzialmente il week end, come gestione normale del cantiere.

M: Sì, a parte quel periodo che io ti ho detto, per il resto abbiamo lavorato solo nei fine settimana. Abbiamo lavorato per circa 21.000 ore in totale, 1.500 ore a socio, eravamo quasi tutti assegnatari ma c’era anche qualche socio speciale, fidanzati o cugini di nostri colleghi.

A. Non avevano un legame ufficiale

M: Esatto, non erano sposati o non convivevano come coppie di fatto da almeno due anni.

A: Ti faccio una domanda che forse è scontata ma non è detto che lo sia, chiaramente con un finale diverso lo rifaresti?

M: Si lo rifarei, perché come ti ho detto è stata una bellissima esperienza, a parte tutto ciò che è successo poi.Ho imparato a fare il muratore, sicuramente se ci saranno dei lavori in muratura da fare nella mia futura casa li gestirò da solo e poi è stata una bellissima esperienza umana che mi ha dato la possibilità di conoscere gente in gamba e di lavorarci insieme.

A. Problemi. Secondo me la cosa difficile è riuscire a far quadrare il cerchio in un cantiere di autocostruzione. Tante persone diverse con tanti modi di vivere diversi, non parlo per forza di cultura diverse, parlo anche solo di abitudini diverse: forza fisica diversa e capacità diverse, quindi problemi…

M: Problemi ce ne sono stati tanti. Come dici te ci sono modi di vivere e di lavorare diversi, ognuno di noi ha comunque lavorato al massimo delle proprie possibilità. In cantiere c’erano italiani, sudamericani, africani, c’erano donne, c’erano uomini, persone anziane e anche ragazzi di 18-20 anni. In alcuni casi dovevi avere un occhio di riguardo verso di loro. In un cantiere edile, dove ci sono pericoli e ci sono situazione di pericolo costanti.

A: Diciamo che ci sono differenze. Un musulmano, ad esempio, durante il Ramadan fa un po’ più fatica a lavorare, perché mangia solo in determinati momenti del giorno, un cattolico ha un problema simile durante la quaresima.

M: Un africano ha anche difficoltà a farsi impartire ordini da una donna. Ci sono stati momenti di tensione, perché le donne nel nostro cantiere lavoravano come gli uomini e come loro volevano avere voce in capitolo.


A: E com’è finita?

M: Tutto è stato superato con il confronto, come ti ho detto prima.

A: Quindi possiamo dire che è sempre una questione d’intelligenza.

M: Tutto si può gestire con intelligenza, in tutte le questioni si è cercato di trovare una soluzione, è chiaro che se c’erano persone che non amavano lavorare insieme, si mettevano in squadre diverse, perché come tu sai in un cantiere bisogna dividersi in squadre, quando c’è da lavorare all’interno degli appartamenti, per esempio.

A: Mi hai detto che il tutoraggio non era un vero e proprio tutoraggio, ma sostanzialmente eravate abbandonati a voi stessi.

M: Spesso e volentieri dovevamo gestirci da soli.

A: L’organizzazione chi la decideva? Era una cosa collegiale o avevate eletto qualcuno un po’ più bravo nell’organizzazione a fare questo.

M: Si riconoscevano le capacità di ciascuno di noi. Come in qualsiasi situazione di necessità, si tirano fuori i sensi più recondidi, quindi inizi ad alzare le antenne e riconosci le capacità delle persone di cui ti puoi fidare e metti insieme una certa sensibilità nell’affrontare un certo lavoro, ti fai molti più scrupoli, magari lavori anche in maniera più lenta, ma sempre in maniera più concentrata e ponendo sempre massima attenzione. E poi, comunque, è vero che eravamo spesso da soli, però succedeva quasi tutti i giorni che il capocantiere facesse un passaggio in cantiere, in quel momento lì cercavi di fargli le domande che ti servivano per andare avanti tutta la giornata, cercavi di fare necessità virtù, di carpirgli i segreti.

A: Pensi che aver avuto un capocantiere, un vero e proprio tutor, uno che stava lì dalla mattina alla sera insieme a voi, avrebbe potuto dare un esito diverso, avrebbe potuto accorciare i tempi, ad esempio?

M: Senza dubbio

A: Perchè 1500 ore di lavoro a persona non sono poche.

M: No, non sono poche, ci sono stati cantieri che hanno lavorato molto di più. Fino a 2500 ore.

A: Ma quello che mi chiedo è: avere un professionista sempre lì che possa dirigere le operazioni, controllarle ed aiutare, anche nelle parti un po’ più difficoltose, può essere un qualche cosa che va a migliorare la vita dell’autocostruttore in cantiere?

M: Certamente, perché in molti casi eravamo costretti a fermarci, non ci si può inventare nulla, ci sono delle cose che tu puoi intuire, ma non inventarti. Quindi hai bisogno di avere una risposta tecnica. Soprattutto quando stai facendo un lavoro strutturale, che comporta la solidità della costruzione. La parte più importante, che è la stima del gruppo la voglia di fare che all’inizio è un motore fortissimo, ogni tanto vacillava perché ci sentivamo abbandonati a noi stessi e ci mancava un aiuto. Senza l’autostima non avremmo sopperito alla mancanza di un muletto o di un mezzo che ci potesse aiutare a spostare le cataste di mattoni, che invece abbiamo spostato a mano.

A: Complimenti, so quanto pesano

M: Pesano parecchio, sono mattoni di 60 cm di lunghezza che pesano circa 10 kg

A: soprattutto quando si imbibiscono d’acqua diventano molto pesanti

M: Sì, e poi soprattutto ci vuole del tempismo, se posso aggiugere qualcosa sulla tua osservazione sulla assistenza tecnica. L’assistenza tecnica deve essere anche una questione di tempismo, nel senso che noi siamo stati diversi week end a pulire il cantiere per mancanza di materiale.

A: Questa è carenza d’organizzazione!

M: Carenza d’organizzazione, limiti tecnici e difficoltà economiche.

A: Parlando di organizzazione, facciamo qualche passo indietro. Tu mi hai detto: io mi sono accorto di questa cosa perché ho trovato un bando del comune?

M: Sì

A: Il Comune. Per quello che è la mia esperienza, direi che è fondamentale il suo intervento in un progetto di autocostruzione, se il comune non ci crede dubito che si riesca a realizzare effettivamente. Vista la tua esperienza pratica, a tuo parere quanto è giusto che vi sia una vera e propria ingerenza del comune? Il comune deve esser lì presente e rompere i maroni o fare solo quello che ci mette la bandierina e dice “io ci credo, è stato bello”.

M: Deve assolutamente essere presente. Intanto perché ha la responsabilità del progetto, é il comune che sceglie di realizzare un progetto di questo genere. Il comune non può mettere la bandierina sopra il progetto e dire “ noi abbiamo fatto il progetto di autocostruzione, siamo stati bravi” e poi disinteressarsene completamente come ha fatto il Comune di Ravenna, perché il rischio concreto é che questo fallisca clamorosamente. Non è richiesto alle famiglie di autocostruttori di avere conoscenze architettoniche, strutturali o normative. Per questo il Comune deve seguire il progetto e la sua realizzazione.

A: Quindi al di là di quelle che sono le competenze dell’ufficio tecnico, un vero e proprio partner in cantiere.

M: Certo, dev’essere un partner presente.

A: Uno dei soggetti … un autocostruttore, tra virgolette

M: Dev’essere un partner in effetti, il progetto di autocostruzione di Alisei, prevedeva che ci fosse anche, forse questo non è stato rilevato da nessuno, prevendeva anche che ci fosse una figura di intermediario culturale ma questo non solo per le differenze culturali, etniche delle famiglie che partecipano ad un progetto, che ci saranno anche nel tuo progetto

A: Eh beh, figurati

M: Ci saranno famiglie straniere…

A: Non viviamo più in una nazione monocolore.

M: Esatto:

A: Viviamo in paesi multietnici, e meno male, andiamo avanti così, cresciamo

M: Si, ne sono convinto.

A: Dipende dall’intelligenza delle persone, non dalla cultura

M: E anche dalle condizione che ti mette la società a disposizione, quindi la possibilità di lavorare e di vivere in maniera civile tra tutti noi, perché è chiaro se comincia a mancare il lavoro, le possibilità di walfare o d’istruzione, ci vuole un attimo a cadere nelle lotte di classe o tra poveri. Io italiano mi metto contro il nero o l’extracomunitario perché mi sta togliendo i diritti che ho io, ma in realtà me li sta togliendo lo Stato … e qual’era la domanda? Che il comune deve anche fare da mediatore culturale, deve anche fare da arbitro in un possibile e probabile momento di frizione all’interno di un progetto di questo genere, che può essere tra gli autocostruttori e la ditta ma può anche essere all’interno di due famiglie di autocostruttori stessi. Chiaro che ci si augura sempre che si possa sempre risolvere tutto con il dialogo, ma a volte ci sono tensioni tali che…

A: Diventa anche difficile farlo

M: A volte ci sono delle persone che, purtroppo, non usano l’intelligenza ma usano la forza e la sopraffazione.

A: Pensi che la bioedilizia sia uno sprone a fare autocostruzione o invece che la sfrutti per farsi conoscere ed avere una sua nicchia di potere?

M: Bella domanda. Credo che la bioedilizia sia un mezzo per fare autocostruzione, un’ottima opportunità, adesso, mentre tu mi stavi facendo la domanda mi è venuto subito in mente il caso di Vanessa Tosatti che a Conselice si è costruita la casa con il metodo GREB: la struttura in legno ed il riempimento in paglia. Se sia un modo per pubblicizzare la bio, forse sì… anche questo senza dubbio, però, mi sembra che non ci sia nessuna controindicazione in questo, nel senso che se si mette a conoscenza del maggior numero di persone i nuovi materiali, come può essere la paglia, come può essere il legno, come possono essere tanti altri materiali che anche noi abbiamo utilizzato nel nostro cantiere, come l’isoteck, oppure il calcestruzzo con microbolle di aria alleggerito.

A: L’Ytong


M: Forse hai ragione, l’isoteck è il blocco di legno e cemento e l’Ytong è questo materiale di cemento alleggerito, come ti dicevo che è molto utilizzato nel centro Europa. Io ho vissuto in Repubblica Ceca e mi sono reso conto che moltissime case erano realizzate con questo materiale in autocostruzione.

A: Quindi l’autocostruzione esiste anche fuori,

M: Tantissimo, esiste molto più fuori che in Italia. In Italia la burocrazia non ti permette di realizzare una casa in auto se non in un progetto condiviso come stai facendo tu, non hai la possibilità tu cittadino di realizzare una casa se non facendo salti mortali per ottenere tutte le autorizzazioni, ma diventa un lavoro anche quello, gli uffici tecnici dei vari comuni ti rendono la vita quasi impossibile e ti rendono impossibile il progetto che tu hai intenzione di realizzare.
Perché ci sono degli interessi economici altissimi nel mondo immobiliare, le ditte costruttrici devono imporre il proprio materiale, quindi il cemento armato che non è più un materiale logico da utilizzare ma che viene utilizzato per il grande interesse economico che nasconde, come tutto ciò che avvviene nel nostro paese, sono tutte questioni economiche, politiche economiche

A: Torniamo alla bioedilizia. Volevo farti una domanda. Tu sai che io di mestiere vendo i materiali edili, quindi vivo in mezzo alle imprese agli applicatori, ai progettisti. Mi accorgo che molti vedono nella bioedilizia non tanto un sistema per costruire casa propria quanto un sistema per pagare di più una cosa. Così come il bio nell’agricoltura. Mentre, però, nell’agricoltura si sta creando una coscienza ed una consapevolezza su cosa sia il biologico, nell’edilizia ancora il bio non si capisce se è una truffa, se è un modo per spillarti più soldi o cos’altro e per molte persone è una nicchia di edilizia fuori dalla portata della gente normale. Da quello che invece mi stai dicendo tu è possibile e non è più un problema.

M: Non è più solo per un’elite non è più solo un cittadino ricco quello che può realizzare la propria casa con materiale sano e salubre, perché la bio è questa, l’intento di vivere in un ambiente sano, senza respirare resine, materiali chimici che inquinano il tuo modo di vivere. E’ possibile perché prevedendo di costruire più case hai la possibilità di fare un ordinativo di materiale maggiore e di ottenere uno sconto maggiore sullo stesso.

A: Maggior forza contrattuale.

M: Avrai una maggiore forza contrattuale, certo. E poi perché lo assembli tu e quindi avrai la possibilità di risparmiare sulla manodoprea, questa è l’autocostruzione.

A: Con l’autocostruzione puoi cercare di spostare quelle cifre che prima erano di pura manodopera, sul miglior materiale. Investire di più sul materiale proprio per questo risparmio che viene dato dalla mancanza di manodopera da pagare.

M: Sì, sì. Direi che è proprio questo. Oltre al risparmio anche scegliere il materiale con cui costruirsi la casa e questo si collega alla domanda che mi hai posto all’inizio dell’intervista, se deve entrare la famiglia nella scelta progettuale della casa, certo che deve entrare, perché ci deve vivere. Quando si parla di modifiche in corso d’opera, anche lì si entra in un vespaio esagerato, però, perché no! Nel caso in cui ti accorgi, in corso d’opera, che hai la necessità di aprire un’apertura oppure vuoi mettere l’impianto di riscaldamento a pavimento, perché non dovresti essere in grado di farlo? “Ah no, perché il progetto iniziale… devi fare il massetto, devi cambiare le misure in altezza” Bene, che si faccia, allora!

A: Da voi è mai venuto qualche rappresentante in cantiere.

M: Si

A: E?

M: E ci ha detto che Alisei speculava anche su di loro, chiedendo il rientro di una parte del fatturato…

A: Alisei si tratteneva….

M: Alisei si prendeva il 10% della fattura. Quindi si prendeva la sua percentuale sull’acquisto del materiale.

A: E voi non lo sapevate.

M: No, assolutamente no. Ma purtroppo in quel periodo avevamo tuttaltro a cui pensare e pensavamo che fossimo in qualche modo tutelati dal Comune.

A: Se ve l’avessero detto prima era un problema? Cioè, se Alisei avesse detto “quardate che il 10% della fattura che lo prendiamo per le spese” sarebbe stato un problema per voi?

M: Certo che sarebbe stato un problema anche perché Alisei prendeva già 250.000,00 € per l’assistenza tecnica e la progettazione del cantiere.

A: Ah! Era pagata Alisei

M: Eh certo

A: Ah, allora capisco … scusa mi hai lasciato un attimo interdetto

M: 250.000,00 € abbastanza per un progetto da 1.250.000,00 soprattutto per una organizzazione che si definisce Non Profit.

A: Direi parecchio. Un quinto! Mi interessava sapere se erano passati i rappresentanti non tanto per queste cose ma per proporre i materiali o per capire cosa diavolo stavate facendo.

M: Per proporre materiali no, perché una volta imparato che noi eravamo solamente dei manovali e che la progettazione era stata già decisa da Milano rinunciavano. Per conoscere il progetto e il materiale che stavamo usando sì. Più che rappresentanti erano delle ditte che stavano lavorando nella nostra zona, sì, c’era questa curiosità perché usavamo questi materiali che non erano molto utilizzati e perché era una modalità non molto comune.

A: Ecco, una delle cose che mi è stato obiettato da qualcuno: “tu fai questo progetto di autocostruzione essendo uno del mondo dell’edilizia fai concorrenza ai tuoi clienti”. Io non ritengo che fare autocostruzione sia fare concorrenza alle imprese semplicemente perchè un autocostruttore al 99% non ingaggerebbe un’impresa. Quindi un mercato che è fuori da quello dell’edilizia convenzionale. Però è bella questa cosa che siano venute imprese a vedere cosa facevate. Come si presentavano, com’era il colloquio con queste persone.

M: Erano colloquio alla pari, perché ci vedevano con le tute da lavoro e le scarpe antifonrtunistiche.

A: Loro sapevano che voi eravate impiegati, manovali, ma di tutt’altro settore?

M: No, loro inizialmente si avvicinavano come se fossimo degli operai come loro che venivano a parlare con dei loro colleghi, e quindi quando poi c’era la presentazione e gli dicevamo che eravamo un progetto di autocostruzione, ecco, lì c’era lo stupore,non avevano mai sentito parlare di autocostruzione.

A: Non vi vedevano come dei nemici quanto come una curiosità da raccontare.

M: Sì, uno mi è venuto a proporre di andare a lavorare come plastichino nel loro cantiere.

A: Se il tuo lavoro non dovesse andare bene!!!


M: All’inizio ho cominciato a lavorare tutti gli impianti delle fondamenta! Ho anche quella competenza lì oggi! Sono anche un plastichino! Infatti sul mio profilo come professione ho scritto plastichino.

A: io sono dell’idea che l’auto sia il vero e proprio futuro dell’edilizia, ho potuto notare che nel mondo in generale non esistono il numero di imprese edili che esistono in Italia. Anche perchè per noi l’impresa edile è il pavimentista, l’idraulico, il ferraiolo. Sono tutte imprese edili. E fanno qualsiasi cosa, all’estero si può notare che c’è una differenziazione dei mestieri con addirittura delle standardizzazioni e dei patentini. Tu prendi ad esempio, in Australia, se vuoi fare dell’intonaco devi prendere la patente da intonacatore. Quindi, l’autocostruzione, sostanzialmente, diventa quel mezzo per farsi casa propria, vedi in America con le costruzioni in legno, soprattutto nella zona di Saint Luis, dove ogni tanto arriva l’uragano che tira giù tutto e si ricostruiscono la casa. La vedo come il futuro dell’edilizia, quella abitativa, quella personale quella della famiglia che vuole la propria casa. Tu da questo punto di vista, che hai un’esperienza diretta che sai esattamente quant’è la fatica che si fa in questi cantieri, come la vedi l’autocostruzione in Italia.

M: La vedo come dici te, credo che sia il futuro dell’edilizia per tanti motivi, perché comunque nonostante la fatica che c’è dietro ed è tanta, i sacrifici che sono tanti, il fatto di costruirsi la propria casa è una soddisfazione incredibile. Il risparmio è sicuramente un altro motivo, il fatto anche di poter scegliere il materiale come dicevamo prima; ci sono tantissimi motivi, secondo me avrà futuro se ci saranno delle condizioni legislative che ne permettano l’applicazione; l’autocostruzione in Sud America è già la prima metodologia di costruzione.

A: Quindi tu pensi che il legislatore, piuttosto che lasciare la libera scelta debba legiferare in materia. Non lasciarti libero di scegliere, ma legiferare.

M: Deve legiferare perché in questo momento non è permesso realizzarla in forma famigliare, non è che mi sia addentrato tanto in questa ricerca ma credo che sia così …

A: Quello l’ho fatto io. Se non hai un’organizzazione che ha come scopo l’edilizia non lo puoi fare. A meno che non esista già la casa, allora, come mi hanno detto INPS, INAIL e Cassa Edile, in casa tua puoi fare quello che vuoi. Purchè io non lo veda da fuori.

M: Beh, non è il massimo dover mettere un’intelaiatura in cartongesso per nascondere quello che si sta facendo. Costruire la propria casa è il mestiere più antico del mondo, nonostante si pensa sempre ad un altro, no?

A: Il punto è: se io mi voglio costruire la casa, la mia casetta; ho un pezzo di terra in campagna e voglio farmi la mia casetta non me lo posso permettere, a meno che effettivamente non venga delegiferato, ossia mi venga data la possibilità di essere libero di fare quello che voglio, oppure mi dici tu legislatore: “fai determinati passi per ottenere la tua casa”

M: Con i tempi che ci sono, se devi chiedere tutte le autorizzazioni quanto ti ci vuole? Vanessa mi elencava le volte che era stata a girare per uffici, spesso senza concludere niente, nonostante lei lavori in una ditta edile. Ad un certo punto mi ha condidato che fosse sul punto di abbandonare il progetto perché aveva paura di non venirne a capo. Nessuno le dava una risposta perché non conosceva l’argomento.

A: Questo è il problema grosso, non sanno di cosa si parla.

M: E quindi pur di non darti una risposta sbagliata, e questo è il problema dei problemi, non ti do una risposta. Così sarò inattaccabile, non potrai dire che ti ho dato una risposta sbagliata.

A: O ti dico” non si può fare”

M: …oppure ti dico non si può fare, che è la stessa cosa.

A: Esatto. Io la chiuderei qui, se vuoi chiudere con un tuo pensiero vai libero.

M: se mi inviterai verrò a trovarti per poter parlare con con le persone che vogliono aderire al progetto in autocostruzione lì a Castenaso.

A: Se vinceremo il bando d’assegnazione.

M: Verrò a dire queste cose qui, a dire che l’autocostruzione può essere bellissima. Ci vuole però responsabilità e un impegno del Comune, che deve essere soggetto attivo del progetto, è fondamentale. E poi ci vogliono delle garanzie. Se l’autocostruzione è fallita in Italia é perché non si è pensato di poterne fare a meno. Ormai anche per fare un cancello a casa tua devi presentare una fidejussione, per coprire eventuali danni che puoi arrecare. Per fare un progetto di autocostruzione dove andranno a vivere 40 persone e realizzare 14 case non è stata chiesta nessuna fidejussione. Incredibile no?

A: Secondo te chi deve dare la fidejussione?

M: La ditta regia del progetto oppure il Comune, sicuramente non potrà darla un cittadino. La sua garanzia è già quella di partecipare al lavoro e credere nel progetto. Più garanzia di quello! Cosa deve metterci anche la garanzia monetaria?

A: Il Comune in questo caso diventerà socio, in qualche modo…

M: il Comune è già parte attiva perché il terreno è suo.

A: Esatto, ma deve partecipare con garanzie perchè arrivi a termine il progetto, perchè se ci mette una garanzia monetaria il comune ha tutto l’interesse che il progetto arrivi a termine, se no gli tocca anche pagarlo.

M: deve fare la parte dell’amministratore, deve entrare anche nei tempi, perchè il cittadino non ha il potere contrattuale di dire nulla. Magari in corso d’opera dopo che è stato firmato un contratto con l’impresa: siamo in ritardo e adesso come la mettiamo. Io ho già dato la disdetta alla mia abitazione perchè contavo di entrare in casa quando voi mi avete detto che sarebbe finito il cantiere. E’ chiaro che un cantiere di auto non ha queste scadenze fisse, rigide perchè sta anche nellì’impegno che ognuno di noi mette, degli autocostruttori, però il cittadino deve avere anche delle garanzie. Non può un progetto terminare in cinque anni anziché in due anni per farti un esempio solamente perchè l’impresa ha la decisione dei tempi e delle modalità di come terminare il cantiere. Avrà la decisione finale, che sarà sempre dell’impresa, ma ci sarà un garante, il comune, un amministratore che dice: “no non potete stare 4 mesi con il cantiere chiuso senza materiale perchè vi tira il culo a voi”. Perchè gli interessi aumentano del fido bancario, il materiale si ammalora, la struttura si ammalora, il cemento si indurisce. E’ chiaro, il legno marcisce. Tutto lì, ci dev’essere un arbitro.


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Impermeabilizzazioni: la scelta


Le impermeabilizzazioni, come tutto in questo mondo, stanno cambiando, si stanno modificando e stanno evolvendo perchè è il mondo intorno a noi che cambia. Cambia? Permettetemi di essere polemico per l’ennesima volta. Cambia? Peggiora! Da cosa traggo questa mia conclusione? Dalla vita quotidiana di tecnico che viaggia per i cantieri e vola sui tetti che perdono.
La situazione è grave! Ci sono chilometri quadrati di coperture impermeabilizzate che perdono. A cosa sono dovuti questi problemi: secondo le statistiche dei produttori di impermeabilizzati esclusivamente dalla cattiva posa ed alle costruzioni fatte male; secondo le statistiche degli impermeabilizzatori esclusivamente alla carenza di qualità dei materiali e alle costruzioni fatte male; secondo le statistiche dei costruttori dalla carenza di qualità dei materiali e dalla cattiva posa.

Sbaglio o vedo una leggera ridondanza in queste SCUSE? Esatto si tratta di scuse in quanto tutte le ragioni sono vere ed è altrettanto vero che sono tutte false.

Analizziamo le condizioni in cui si trova un progettista che deve scegliere il miglior sistema per impermeabilizzare una copertura (ovvio che anche i progettisti hanno le loro colpe, non sono immuni, ma in questo caso mi vengono buoni per fare l’esempio): diciamo che le condizioni non permettono di utilizzare il buon vecchio manto di guaina bituminosa per svariati motivi, ad esempio molte difformità geometriche e spazi ristretti. Ovviamente il buon progettista fa una lista delle aziende che ritiene di valore e le contatta per risolvere il problema: la prima dice che con una splendida resina poliuretanica alifatica monocomponente risolve il suo problema e che un’armatura in MAT di vetro restituisce anche caratteristiche meccaniche invidiabili, ma costa tanto; il secondo concorda con il primo ma perchè buttare soldi in un’armatura che può essere sostituita da un tnt il poliestere che più o meno ha le stesse caratteristiche? In fondo la stabilità dimensionale gli interessa poco; il terzo ritiene che una resina poliuretanica alifatica non sia necessaria e va benissimo quella aromatica, magari color panna con una rete in fibra di vetro.

Visto che il nostro progettista è uno caparbio vuole capire il perchè di tali risposte che non sono assolutamente risolutive per il suo progetto ma gli hanno aumentato il mal di testa e scopre che la prima azienda vende solo ed esclusivamente quel prodotto, che la seconda non ha il MAT di vetro e la terza non sa cosa voglia dire alifatico. Non avendo risposte dai produttori (o commercializzatori che si spacciano per produttori) decide di contattare le imprese che aspettano il suo dettaglio per poter preventivare le spese e anche qui le cose si fanno difficili: la prima (sono sempre tre…) dice che con una guaina bituminosa biarmata riesce a fare tutto senza problemi, il secondo dice che con un bel telo in EPDM non avrà mai più problemi ed il terzo dice che con i prodotti della tal azienda può dormire tra 4 guanciali. Ovviamente il progettista è sempre più in confusione, allora decide di chiamare gli applicatori che gli sono stati consigliati.

Il primo (indovinate quanti sono questa volta) gli spiega che tutte le soluzioni potrebbero essere valide che tutto dipende non dal materiale ma da chi lo posa che l’esperienza sessantennale sulle guaine bituminose (uno mi disse che le monta da sessant’anni … giuro) è importantissima e che le giuste attrezzature sono la panacea; il secondo spiega che la miscelazione delle resine è importante, che la scelta del rullo per posarla è fondamentale e che il primer (evviva uno lo richiama!!!!!!) è strategico; il terzo è molto meno tecnico ma più incisivo: “con la carta catramata di impermeabilizzo quello che vuoi!”.

Ora ditemi voi come fa quel povero progettista a capire e prendersi le responsabilità su un lavoro dove su nove professionisti interpellati nessuno è stato in grado di dargli una risposta priva di dubbi. Ha due strade: chiamare i produttori e dire che mette in capitolato quello che offre di più in moneta sonante, le imprese che fa lo stesso e gli applicatori… che si arrangino; oppure … eh già, oppure? Come si può scegliere il miglior sistema impermeabilizzante? Risposta semplicissima: bisogna studiare, avere occhio critico e seguire i cantieri. Ovviamente un progettista non è in grado di fare ciò e, forse è meglio che si rivolga ad un consulente che sia in grado di dargli le risposte su qualsiasi tecnologia possa essere presente sul mercato.

Ci sono queste figure, le trovi tra i progettisti, tra gli impermeabilizzatori, tra i produttori e tra i rappresentanti, non è facile inquadrarli ma ci sono; il problema principale è che spesso si chiede a questi personaggi, un po’ loschi e sui generis, di fare il lavoro gratis… in fondo se danno la risposta giusta poi fanno il lavoro o vendono il materiale.

Beh io dico che non è giusto! La cultura che un professionista nel campo delle impermeabilizzazioni si è fatto è dovuta a giorni, spesso notti, di studio, di ricerca, di pratica, di esperienza fatta a vangate in faccia, etc. LA CONSULENZA DEVE ESSERE PAGATA. Come fare, allora a certificare la propria competenza? Come si può dimostrare che si sa quello che si dice? Effettivamente non vi è una forma comune a tutti che possa essere un patentino o altro, ma si può vedere in ciò che ha fatto, nei problemi che effettivamente ha risolto, nella capacità di uscire dagli schemi e di adattarsi alla situazione, da ciò che dimostra sapere (magari con quello che scrive … scusate ma un po’ di pubblicità personale me la faccio).

Da quando per scherzo ho cominciato a scrivere di impermeabilizzazioni (per me era solo un esercizio intellettuale per capire se sapevo le cose o no e come presentare i prodotti ai clienti) ho visto nascere una comunità molto eterogenea che, però, vive costantemente il problema di come dimostrare la propria competenza rispetto al primo che si presenta con un cannello arrugginito sul cantiere. Non ho la risposta a questo, altrimenti sarei il rappresentante più ricco del settore, ma penso che continuare a creare differenza alla fine faccia il nostro gioco. Più si cresce, più ci si differenzia più si riesce a combattere il pressapochismo e non bisogno aver paura di pubblicizzare anche i propri insuccessi, perchè anche questi, e maggiormente da questi, cresce l’esperienza personale. Inoltre essere in una comunità di informazione crea un corredo esperienziale invidiabile e utilizzabile ovunque.

Quindi vi invito a cercare un sistema per aiutarCI a comunicare queste nostre caratteristiche per migliorare sempre più il livello del settore e ghettizzare gli incompetenti ai margini del lavoro di qualità.


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Malte elastiche – siamo alla resa dei conti?


Nell’ultimo anno si sta vivendo una situazione particolare che sta mettendo in crisi di risultati una particolare tecnologia di impermeabilizzazione: le malte elastiche. Chi mi conosce sa che non ho mai avuto grande simpatia per tale tecnologia, soprattutto perchè si è voluto portarla fuori dal suo ambito originale della protezione nelle riprese di getto nel rispristino del calcestruzzo.

Nonostante le mie gufate sembra che la tecnologia si stia rivelando molto più fallace di quanto non si potesse immaginare inizialmente.

Innanzitutto cominciamo a togliere dei dubbi: come protezione nel ripristino del CLS funziona benissimo e non ha alcun tipo di problema; come impermeabilizzante di superfici orizzontali, invece, si sta rivelando un colabrodo. Prima che mi si lancino strali perchè “tu odi il mapelastic” (cosa vera tra parentesi), spiego che non è il prodotto in sé ad avere problemi, ma è nell’interazione con altri additivi di altri materiali che diventa fallace.

Facciamo un po’ di storia: quattro anni fa scrissi un articolo (impermeabilizzare un massetto alleggerito) dove feci una lunga ricerca per spiegare come mai una guaina bituminosa poteva invecchiare velocemente (in sei mesi era a fine vita) quando veniva applicata sopra un determinato tipo di massetto alleggerito (leggetevelo, non lo riassumo qui). Durante i quatto anni che sono passati ho avuto modo di parlare con molte persone (tecnici, chimici, fisici, muratori, impermeabilizzatori, etc.) discutendo sempre di questo problema e difendendo le mie teorie. Vengo a scoprire che non sono l’unico a pensare che i tensioattivi usati in edilizia possano creare problemi alle guaine bituminose.

Oramai è un dato assodato: i massetti alleggeriti contenenti tensioattivi danneggiano le guaine bituminose, a tal punto che i produttori di MBP proibiscono l’utilizzo di tali pacchetti; mentre i produttori di cementi…. tacciono! Proprio questo tacere ora si sta rivelando un’arma a doppio taglio! Infatti ci sono alcuni laboratori, alcune aziende, che stanno studiando il fenomeno per venirne a capo: i primi come tester di provini nati da cause in tribunale, le seconde per produrre materiali che possano resistere a tali aggressioni chimiche.

Rimane che senza un perchè chiaro e facile da capire non è possibile continuare a lavorare.

Arriviamo a ciò che è successo nell’ultimo anno: molte volte sono stato chiamato per analizzare terrazzi (anche molto grandi) che, nonostante l’applicazione di malta elastica secondo i criteri dettati dal produttore, perdono copiosamente. L’analisi di alcuni carotaggi mi ha portato a rilevare come, nonostante se ne vedessero i segni, fosse assente l’armatura richiesta e di come la malta elastica avesse assunto un comportamento molto strano, o ne trovavo delle lastre vetrificate completamente separate dal resto del pacchetto o trovavo della strana melma grigiastra inconstitente.
Ma come poteva succedere una cosa del genere? In primis mi sono semplicemente gongolato nel mio odio verso il materiale, ma più i casi si succedevano più questa cosa mi sembrava strana fino ad arrivare addirittura ad assolvere la tecnologia.

Ho ripreso in mano il vecchio articolo a causa di un progettista che mi chiese come impermeabilizzare un massetto alleggerito e, rinfrescandomi la memoria ho cominciato a pormi delle domande. Contestualmente ho avuto una chiacchierata molto importante con un chimico di un centro analisi. Dopo aver spiegato l’azione dei tensioattivi la discussione è subito andata sul passaggio successivo: a cosa servono i tensioattivi in edilizia oltre ad alleggerire i massetti o i sottofondi? Beh scopro che servono anche come emulsionanti per le malte cementizie di vario genere: calcestruzzi, colle per pavimenti, massetti premiscelati, intonaci etc.

Insomma il mio sospettato numero uno da un solo utilizzo mi è diventato un’epidemia! Comincio a cercare su internet qualche notizia e, a dire il vero, ne trovo poche, almeno notizie specifiche e non solo vaghi accenni: “l’industria edilizia, che consuma soprattutto tensioattivi economici per rendere più fluidi gli impasti di cemento, più porosi i rivestimenti ecc.” (nuovo dizionario di merceologia e chimica applicata – volume 7 – Hoepli editore – 1977)

Toh compare la parola “Economici”. Che strano…. i produttori di materiali di edilizia che usano prodotti economici! Non ci crederete ma ancora una volta mi sono lasciato trasportare dai miei preconcetti verso determinati prodotti ed aziende. Certo che usano quelli economici, visto che i tensioattivi non nascono certo per essere usati in edilizia, ma è semplicemente una scoperta moderna. Non essendo mai a contatto con sistemi delicati (cibo, cucine etc.) non è necessario che siano il massimo della raffinatezza o altro, devono solo fare il loro lavoro. Ma qual’è questo lavoro? Qui entriamo in qualcosa di più tecnico: i tensioattivi aumentano la bagnabilità o la miscibilità tra liquidi diversi.

tre caratteristiche: aumentano la bagnabilità, quindi migliorano la reazione con l’acqua, aumentano la miscibilità, quindi migliorano la capacità dei materiali di miscelarsi…. tra liquidi diversi, azz. non dei materiali, ma dei liquidi! Qui sorge il problema: come può un intonaco in sacchi da 25 kg essere liquido? Beh… aggiungendo acqua. Bene, ma quando un intonaco è posato non è più liquido, ma ben solido, ce ne rendiamo conto tutte le volte che ci appoggiamo al muro!

Non rimane che adoperare un metro di giudizio diverso e per metro intendo proprio un’unità di misura: ho cominciato a ragionare come fossi diventato microscopico, come se navigassi dentro una goccia d’acqua che sta cadendo dal cielo: la goccia cadendo su un pavimento cerca immediatamente un via di fuga (è un liquido non un solido) che spesso trova in microcrepe presenti tra una mattonella e l’altra o in stuccature saltate o semplicemente nella porosità di un materiale sbagliato che si è utilizzato nella pavimentazione. Continuando a percorrere la strada della nostra goccia arriviamo velocemente allo strato di colla sottostante le mattonelle, continua a correre fin quando non trova una barriera: l’impermeabilizzazione. Lo strato che incontra è una malta elastica (chiamatela con il nome commerciale che volete) che è stata stesa sul massetto pendenziato perfettamente. Il problema è che lì sotto la goccia non ha modo di correre libera verso la massima pendenza, ma rimane imprigionata nei canali costituenti in materiale più assorbente limitrofo all’impermeabilizzazione, ossia la colla. Questa colla, frutto di anni e anni di ricerca da parte di laboratori specializzati è composta da una miriade di elementi chimici, resine, cementi particolari, inerti sceltissimi…. e tensioattivi che ne migliorano la tixotropicità! Ahia….. il nostro indiziato speciale.

Facciamo un altro caso: uno splendido terrazzo che funge anche da tetto per un appartamento al piano di sotto, poniamo che al di sotto viva una famiglia emiliana che tutte le domeniche fa il brodo e cucina i fantastici tortellini tradizionali (o una famiglia russa che fa il borsh o quella che volete). Facendo il suo brodo la signora Maria (inventiamo un nome poco usuale) crea una valanga di vapore (come del resto il sig. Mario quando si fa la doccia e tutta la famiglia vivendo nella casa) che piano piano penetra attraverso la struttura del soffitto. La nostra molecola di vapore, come la precedente goccia di pioggia, comincia il suo viaggio attraverso la struttura prima dell’intonaco, poi dei travetti e delle pignatte, poi della caldana, poi del sottofondo alleggerito, poi del massetto fino ad arrivare alla barriera che non riesce ad attraversare, anche perchè la nostra molecola di vapore, nel frattempo, è diventata liquida a causa della condensa: l’impermeabilizzazione che questa volta è stata fatta con una malta elastica (sempre per distinguersi dal caso precedente) e lì si ferma.

In comune i due casi hanno una caratteristica: l’acqua liquida arriva a toccare e sostare sull’impermeabilizzazione. Non voglio sindacare sul fatto che ci sia più o meno acqua o su quale stato fisico ha e in che percentuale, ma sul fatto che c’è!
Due problemi: il primo immediato, abbiamo un ristagno d’acqua a contatto con uno strato impermeabilizzante che non regge il ristagno d’acqua (leggetevi le schede tecniche); secondo abbiamo dei materiali che sono maturati nel tempo che contengono dei tensioattivi che rimangono latenti al loro interno. che non possono più reagire con i materiali per cui erano stati inseriti, ma con l’acqua sì (ci ricordiamo che agiscono sui liquidi). Questi non sapendo cosa fare ed essendo stati riattivati, decidono di compiere di nuovo la loro opera: ossia rendere idrofili i materiali, sciogliere i legami della tensione superficiale dei materiali, sciogliere i materiali tra di loro e mantenerli miscelati… insomma li fanno regredire ad uno stadio in cui non servono più a nulla! Ovviamente quest’azione si concentra dove l’acqua ristagna, ossia sull’impermeabilizzazione, quindi è proprio questo strato il primo che viene aggredito.

Risultato: l’impermeabilizzazione si scioglie completamente o, se passa molto tempo e l’acqua evapora, si cristallizza in uno strato fragilissimo. E l’armatura che fine ha fatto? Beh se n’è andata! L’ambiente che si crea grazie ai tensioattivi azionati è particolarmente poco adatta alla povera fibra di poliestere che non regge più. Totale della situazione, le malte elastiche stanno rendendo i conti all’oste dopo meno dei 10 anni che la legge richiede come garanzia e il bello è che gli stessi produttori di malte elastiche sono coloro che hanno messo il loro killer all’interno dei materiali che gli sono di contorno (e non escluso anche nelle malte elastiche stesse). Insomma i nostri tensioattivi tanto utili nella posa dei materiali che utilizziamo per costruire le nostre case sono delle bombe ad orologeria per la struttura stessa. Ovviamente non vanno a degradare il calcestruzzo, ma sicuramente vanno a degradare lo strato impermeabile che lo protegge e protegge i nostri solai.

Non solo le malte elastiche sono a rischio, ma anche le guaine bituminose con le loro armature in fibra di poliestere e la loro massa grassa, lo sono anche i manti in TPO che vengono rammolliti nel tempo.

Come si può sistemare questa situazione: beh rifacendo le impermeabilizzazioni cambiando i materiali utilizzati; utilizzando sistemi impermeabilizzanti che non vengano attaccati dai tensioattivi; costruendo le giuste stratigrafie che vincolino l’acqua e il vapore esattamente dove vogliamo che resti.

Non c’è da preoccuparsi se non dell’incompetenza di chi ci fa i lavori o li progetta. Per le nuove costruzioni è il caso di valutare molto bene delle barriere al vapore vere e non dei teli bucherellati che hanno avuto la certificazione di B.V. Solo perchè ci si è fatta una norma a proprio uso e consumo. Chiediamo che i materiali siano capaci di resistere al ristagno dell’acqua e valutiamo se ci potranno essere conseguenze nell’interazione tra i singoli componenti della casa dove abitiamo: insomma chiediamo che siano dei veri professionisti dell’edilizia quelli che ci seguiranno e, lasciatemi lanciare un altro sasso nello stagno, non facciamo i tirchi. Se dobbiamo spendere migliaia di euro in un lavoro, spendiamone qualcuno in più in un consulente preparato che possa fare i nostri interessi e non quelli dell’impresa incaricata.

Addenda dopo alcune discussioni: Non ho citato appositamente l’errore di posa, l’incompetenza di operatori, progettisti e fabbricanti, non ho segnalato tutti i particolari che potrebbero effettivamente far funzionare o meno un sistema semplicemente per puntare il fuoco su un problema che a me pare molto importante. Non ho citato marchi commerciali o prodotti perchè ritengo che non sia un problema di prodotto singolo ma di sistema, oltre al fatto che non posso citare ciò che è coperto da segreto istruttorio o da segreto industriale di cui sono venuto a conoscenza in veste di consulente o per semplice fortuna.
Ritengo che il mio ragionamento sia giusto, ma non pretendo che lo sia! voglio, sostengo e pretendo che si discuta dell’argomento con mente aperta per risolvere una serie di danni che si stanno verificando ovunque e che porteranno non solo molto lavoro ma anche molta litigiosità nel settore.


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Keep calm e metti il primer


Strano a dirsi ma devo ringraziare Google e la sua scansione degli antichi testi. Ho trovato, su un testo napoletano del 1700 una cosa interessante: “A quelli non si dà colla; ma l’imprimitura di colore ad olio, e secca poi si dipenge, come dice il Vasari”.

E’ meglio fare un passo indietro. Dopo aver letto tante discussioni, fatte tante discussioni, visionato fotografie di errori di posa, di danni causati da calamità, di problemi di perdite sul tetto devo dire che mi sono demoralizzato continuando a predicare l’utilizzo del Primer. A questo punto volevo capire da dove nascesse il primer, cosa fosse e da dove venisse nella storia. Cosa trovo: solo riferimenti alla pittura, scopro che i pittori rinascimentali avevano fatto dell’imprimitura una vera e propria scienza, con tanto di ricette segrete che si tramandavano di maestro in allievo prediletto, con scontri tra artisti e via dicendo! Insomma scopro che il primer si usa da secoli, se non millenni, scopro che gli antichi egizi avevano l’abitudine di dipingere su un supporto fatto con un intonaco di calce che permettesse di limitare la porosità di certe pietro o darne ad altre per permettere agli affreschi di rimanere a lungo sui muri.

Insomma scopro che il primer è sempre stato utilizzato nella storia fin quando il risultato contava decisamente più del compenso. Dal boom economico e dalle grandi speculazioni edilizie del dopo guerra il primer diventa uno sconosciuto. Eppure si trovano manuali dove se ne parla… ma in fondo il “grande padre cemento” non aveva bisogno di magie per durare a lungo, era l’avvento della modernità e della tecnologia!

Proprio per questo ho citato la frase che ho trovato su questo libro: i grandi artisti del passato usavano il primer, i pittori moderni usano il primer, gli artisti in genere sanno che la preparazione del supporto è fondamentale per la riuscita del loro capolavoro. Ma perchè i nostri bravi artigiani non considerano il primer fondamentale per la riuscita del loro capolavoro? Forse perchè non lo considerano un capolavoro! Forse perchè nell’economia del lavoro non è importante quanto questo duri nel tempo, ma è più importante fare economie di cantiere per rientrare nei costi preventivati… ma soprattutto evitare quelli non preventivati.

Non so proprio a chi rivolgermi questa volta, se prima agli applicatori specializzati o ai loro clienti, perchè entrambi sono colpevoli della scarsa durata del lavoro e della mancanza di utilizzo delle giuste procedure. Anticamente, quando un cliente chiamava un capomastro o un architetto per realizzare una costruzione, questi cercava di mettere in chiaro che la costruzione doveva durare nel tempo ed essere funzionale per tutta la sua vita. Il capomastro o l’architetto (non me ne vogliano i laureati… parlo di un’epoca in cui la laurea in architettura avveniva in cantiere e non sui banchi universitari) mettevano insieme i migliori materiali e la migliore manovalanza specializzata per realizzare l’opera. Finita si potevano vantare di ciò che avevano realizzato sia il costruttore sia il cliente che avrebbe usato l’opera.

Oggi il lavoro di progettazione viene bellamente sottoutilizzato come se non servisse avere una idonea preparazione tecnica del lavoro che deve essere fatto… insomma il primer non si usa. Uscendo dalla sua definizione letterale possiamo dire che non può esistere un’opera edile , di qualsiasi tipo, senza un’idonea imprimitura!

Tornando alla lettera cerchiamo di capire perchè un primer è così importante per ottenere un risultato. Intanto cosa fa il primer: il primer permette di massimizzare l’adesione dei materiali che vogliamo utilizzare al supporto dove li vogliamo utilizzare; il primer permette che le condizioni del supporto non creino problemi a ciò che vogliamo utilizzare (pensate ad un passaggio di vapore acqueo o di umidità dal basso all’alto). Insomma il primer è quel materiale che garantisce ad un altro di rimanere aggrappato al supporto durante la sua vita utile. Ovviamente non esiste un solo primer, ma ne troviamo uno specifico per ogni tipo di utilizzo: abbiamo il buon vecchio primer bituminoso, abbiamo il primer epossidico per fondi umidi, abbiamo il primer epossi-poliuretanico per strutture sgretolanti, abbiamo il primer acrilico per migliorare la penetrazione, abbiamo il turapori; abbiamo una marea di materiali che possono essere utilizzati. Il punto è che DEVONO essere utilizzati, altrimenti il risultato non può essere garantito.

Torniamo al nostro artigiano che deve posare un sistema specifico e non utilizza il primer. Perchè lo fa? Cosa gli dice la testa? Non capisce che sta danneggiando il cliente e sé stesso? La risposta a queste domande è ovvia e risaputa: l’artigiano non è uno sciocco e sa che rischia. Il punto è che l’artigiano consapevole delle giuste procedure non viene riconosciuto dal cliente come tale e non vi è un mezzo per riconoscerlo perchè non ha un patentito con scritto “IO USO IL PRIMER E SO FARE I LAVORI”. Bisogna, a questo punto, pretendere che i dettagli del lavoro vengano scritti sul preventivo, bisogna farsi affiancare da un buon consulente che possa consigliarvi sulle giuste procedure ed avere un progettista che sia in grado di seguire i lavori e controllare che le opere vengano compiute con i sacri crismi dettati dai produttori dei materiali.

Un consiglio su tutti: quando chiedete di utilizzare il primer e l’artigiano vi dice che “il primer serve solo a truffare la gente”, cacciatelo a calci nel sedere e intimategli di cambiare mestiere.


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Il giardino pensile seconda parte


Come già detto in passato il giardino pensile è un’utile sistema per migliorare le prestazioni termiche di una casa, come per migliorare l’assorbimento d’acqua di un ambiente impermeabilizzato, come per migliorare le prestazioni acustiche ed abbattere l’isola di calore urbano; insomma il giardino pensile sarebbe la panacea di tanti mali che assillano il nostro bistrattato mondo. Ha un lato negativo, se così lo vogliamo chiamare: la manutenzione. Ebbene, vi sono sistemi a bassa manutenzione che non impegnano minimamente chi se lo installa sul tetto.

Detto questo la successiva obiezione è che moltissime delle nostre case hanno il tetto pendente. Neanche questo è un problema; esistono delle strutture che sono pensate per avere il tetto giardino a bassa manutezione anche sulle case con tetto a falda.

giardino pensile su tetto a falda
creazione di un giardino pensile su tetto a falda

Lo strato più importante, per la sicurezza di chi vive in casa, è lo strato a tenuta d’acqua. Come già detto  può essere di varia natura. Quello che è importante sapere sulla tecnologia utilizzata è quanto durerà nell’espletamento delle sue funzioni.

Facciamo una carrellata di quale sia il lavoro dello strato impermeabile:

  1. trattenere l’acqua al di fuori della casa;
  2. evitare che le radici lo danneggino insinuandosi sotto di esso
  3. durare il più a lungo possibile sapendo che la legge italiana prevede una garanzia di soli 10 anni.
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Sistema di accumulo idrico in pannelli in fibra di cocco agugliati con tnt sintetici e riempiti di perlite espansa

Sopra di esso dovrà essere messo un sistema di drenaggio delle acque meteoriche in modo che scolino dentro le grondaie; successivamente deve essere inserito un substrato per permettere la vegetazione delle piante che andremo ad inserire nel tetto giardino. Questo, difficilmente in un tetto a falda, può essere uno strato di accumulo classico (ad esempio i vasetti in HDPE), ma dovrà svolgere sia la funzione di accumulo, sia quella di trattenuta delle sostanze nutritive, sia di aggrappaggio degli apparati radicali. Esistono vari prodotti che si differenziano per forma e prezzo, quello che ho potuto valutare come ottimo è uno strato che permetta di essere agganciato al colmo del tetto e che sia fatto di materiale difficilmente imputrescibile di origine naturale. Per migliorare l’accumulo idrico si inserisce (ma esiste anche già fatto) della perlite espansa idrofila che tratterrà l’acqua necessaria alle piante.

Per ultimo lo strato di cultura: questo è differente a seconda di cosa decideremo di mettere nel tetto giardino.

Visto che tecnicamente è fattibile possiamo cominciare a valutare l’impatto che avrà questo tetto giardino sulle nostre tasche e sull’ambiente circostante.

Ovviamente sulle nostre tasche peserà abbastanza, ma mai troppo rispetto al rifacimento di un tetto normale. Bisogna pensare ad alcuni dati:

Tetto giardino pendente a coltura estensiva a bassa manutenzione
Tetto giardino pendente a coltura estensiva a bassa manutenzione
  • un tetto giardino non ha bisogno di manutenzione del manto di tegole;
  • un tetto giardino ha maggiore resistenza agli agenti atmosferici;
  • un tetto giardino non intaserà mai i canali di scolo;
  • un tetto giardino non avrà mai la formazione di ghiaccio vicino al sistema impermeabile;
  • un tetto giardino è naturalmente coibentato;
  • un tetto giardino è il miglior fotocatalita esistente in quanto non si degrada nel tempo ma si rigenera continuamente.

Insomma un tetto giardino ha un costo iniziale più alto di un tetto normale, ma ha un costo manutentivo bassissimo; inoltre un tetto giardino può essere installato su qualsiasi genere di copertura basta tener presente che ha un peso diverso da quello classico.

Si è pensato anche a come concimare il terreno senza dover salire sul tetto: il sistema di materassini che viene utilizzato come substrato di aggancio e di accumulo idrico può essere fatto in fibra di cocco. Questo genere di materiali è di lunghissima durata ma lentamente tende a marcire donando alle radici delle piante il nutrimento di cui hanno bisogno. Essendo agugliata in un tnt sintetico non si perderanno mai le prestazioni meccaniche. Non solo, essendo riempito di perlite espansa ha anche la caratteristica di mantenere le radici in un range di temperature più ristretto evitando alle piante di subire degli choc termici che potrebbero farle morire.

Tetto giardino su copertura a falda coltivato a sedum
Tetto giardino su copertura a falda coltivato a sedum

A questo punto scegliamo le piante da mettere su questo fantastico tetto giardino. Qui abbiamo una scelta limitata, se vogliamo che la manutenzione sia bassa: erba o sedum. Si posso avere sia in rotoli già pronti che in semi da spargere sul tetto.

Sconsiglio vivamente piante che possano diventare troppo grandi in quanto andrebbero ad influire sulla staticità della casa e sulla tenuta dello strato impermeabile.

Ed ora la notizia ancora più bella: lo scorso ottobre il Consiglio dei Ministri ha varato la Legge di Stabilità dove proroga i bonus edili (risparmio ed efficienza energetica e ristrutturazioni) fino alla fine del 2015; Con la circolare 29/E del 18/09/2013 dell’Agenzia delle Entrate si stabilisce che rientrano tra gli Ecobonus qualsiasi intervento, o insieme sistematico di interventi, che incida sulla prestazione energetica dell’edificio” . Creare un giardino pensile ci darà l’opportunità di detrarre il 65% della spesa dalle tasse aumentando la quota di bonus del 15% rispetto al solo rifacimento del tetto.

Per i più attenti alla durata ed alla sostenibilità dei lavori che vengono eseguiti nei propri stabili sappiate che vi è anche un’altra opportunità: con la creazione di un giardino pensile si può ottenere più facilmente la certificazione LEED.

Il giardino pensile è un’opportunità che deve essere colta per portare vantaggi alla nostra vita e a quella dei nostri figli. Non è la solita campana ambientalista. I recenti problemi di inondazioni, di sconvolgimenti nelle nostre città o di siccità prolungata in altre zone si risolverebbero parzialmente con l’aiuto dell’aumento della zona verde con capacità di assorbimento d’acqua. Se, poi, aiutiamo i giardini pensili con la creazione di vasche di contenimento o di regimazione delle acque meteoriche avremmo acqua disponibile sempre a costi molto limitati e, soprattutto, accumuleremmo quell’eccesso che devasta tante zone del nostro pianeta.
Fare qualcosa di piccolo da soli equivale ad una goccia nel mare, ma ricordiamoci che il mare è fatto di tante gocce messe insieme! Tutti insieme possiamo fare qualcosa ed ora abbiamo gli strumenti per farlo.

Per avere riferimenti normativi si può consultare la norma UNI 11235:2007.
Articolo scritto in collaborazione con Perlite Italiana


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Destinazione d’uso e marcatura CE delle membrane bituminose


Questo è l’ultimo articolo della serie “come leggere le schede tecniche delle membrane bituminose“. L’ho lasciata per ultima perchè è stato piuttosto difficile reperire le fonti. Per questo devo ringraziare pubblicamente Marcello Grigatti che mi ha seguito e documentato circa la marcatura CE!

Partiamo dalle fonti: non abbiamo una norma, o meglio, abbiamo la EN13707, ma le linee guida sui dettagli del prodotto sono state date da AISPEC-MBP, ossia dai produttori stessi di guaine bituminose. Si sono dati dei minimi standard per ogni tipo di applicazione, salvo che non fossero già previsti da normative già in vigore.

A questo punto continuiamo con le esclusioni da queste linee guida (perchè vi è già una normativa che ne parla):

  • le membrane destinate all’impiego sottotegola, in quanto ricadono sotto la Norma EN 13859-1 (attualmente vi è allo studio una normativa tecnica sulle stratigrafie e le tipologie di montaggio);
  • le membrane destinate all’accoppiamento con pannelli termoisolanti;
  • i materiali utilizzati per barriere o schermo vapore, che rientrano nella Norma EN 13970;
  • le membrane destinate all’impermeabilizzazione di ponti, viadotti ed altre aree carrabili,
  • applicate sotto i prodotti bituminosi posati a caldo, in quanto ricadono sotto la Norma prEN 14695;
  • le membrane destinate ad impedire la risalita di umidità dal suolo (Norma EN 13969)

Analizziamo ora le definizioni che le Linee Guida ci danno, ricordando che spesso sono prese dalle norme e, quindi, potrebbero essere ripetitive.

  • BOF. Membrane in bitume ossidato fillerizzato
  • BPE. Membrane in bitume-elastomero (anche note come SBS – Stirene-Butadiene-Stirene)
  • BPP. Membrane in bitume-plastomero (anche note come APP – Propilene atattico ed altri copolimeri poliolefinici )
  • Factory Production Control (FPC). Per sistema FPC si intende un sistema di controllo del processo di fabbrica atto ad assicurare che i prodotti immessi sul mercato siano conformi alle caratteristiche prestazionali dichiarate derivanti dai risultati dell’ITT.
  • Initial Type Testing (ITT). Per ITT si intendono le prove iniziali di tipo.
  • Membrana biarmata. Per membrana biarmata si intende il manufatto derivato dall’accoppiamento durante la fabbricazione di due armature distinte.
  • Protezioni superficiali permanenti. Per Protezioni Superficiali permanenti si intendono protezioni non removibili applicate durante il processo di fabbricazione che resistano durante l’intera durata del prodotto, quali granuli minerali e lamine metalliche.
  • Protezioni superficiali non permanenti. Per protezioni superficiali non permanenti si intendono finiture quali sabbia, tessuti e tessuti non tessuti, talco industriale, vernici.
  • Protezioni pesanti. Per protezioni pesanti si intendono le protezioni realizzate in situ con ghiaia, quadrotti prefabbricati, massetti cementizi, conglomerati bituminosi applicati a freddo.

Le guaine vengono divise e definite con alcuni parametri, di cui i più importanti sono il COMPOUND (ossia la mescola bituminosa) e l’ARMATURA; il primo si divide in BPP e BPE (plastomerico ed elastomerico) e la sua flessibilità a freddo è dichiarata con valori in gradini di 5°C; insomma se vi propongono un -18°C non è aderente alle Linee Guida.

Le armature sono caratterizzate dai seguenti parametri: tipo Minerale (velo di vetro) o Sintetica (Poliestere), Carico a Rottura e Massa Areica (con una tolleranza di ± 15%. Già qui cominciamo ad avere alcuni dati che, a mio modesto parere, non dovrebbero esserci: la tolleranza della massa areica delle armature è piuttosto generosa, tanto che permette ai produttori più spregiudicati di utilizzare materiali più leggeri, e quindi più economici, al posto di quelli che andrebbero utilizzati.

Le principali destinazioni d’uso sono:

  1. MONOSTRATO
  2. MULTISTRATO
    • STRATO A FINIRE
    • SOTTOSTRATO
  3. ALTRI SISTEMI DI COPERTURA
    • SOTTO COPERTURA PESANTE
    • ANTIRADICE

MONOSTRATO

  • Flessibilità a freddo ≤ -15°C (BPP), ≤ – 20°C (BPE)
  • Stabilità di forma a caldo ≥ 130°C (BPP); ≥ 100°C (BPE)
  • Flessibilità a freddo dopo invecchiamento con un delta T non superiore a 15°C tra il valore nominale del nuovo e dell’invecchiato
  • Stabilità di forma a caldo dopo invecchiamento con un delta T non superiore a 10°C tra il valore nominale del nuovo e dell’invecchiato
  • Stabilità dimensionale ≤ 0,3 %
  • Spessore minimo nominale 4 mm.(tolleranza ± 0,2), 4 mm. + ardesia (tolleranza ± 0,2)
  • Resistenza a trazione L/T 700/600 N/5cm (tolleranza – 20%)
  • Lacerazione 150 N (tolleranza – 30%)
  • Resistenza a trazione dei giunti ≥ 500 N/5cm o rottura fuori dal giunto
  • Per il monostrato non autoprotetto è necessario realizzare l’invecchiamento artificiale UV (EN 1297).
  • Per le membrane biarmate si indica una resistenza a trazione L/T di 600/500 N/5cm (tolleranza – 20%).

Si è ritenuto sottolineare che una guaina armata di solo velo di vetro non possa essere mai un MONOSTRATO. La motivazione è semplicissima: avremmo, certo, una stabilità dimensionale ottimale, ma la resistenza alla trazione sarebbe affidata al solo compound e, quindi, nulla. Notiamo anche altre piccole caratteristiche: si richiede, ad esempio, che solo le guaine lisce vengano sottoposte ad invecchiamento artificiale UV. Altro parametro è la specificità delle guaine biarmate; si può vedere che hanno una Resistenza alla Trazione più bassa rispetto alle altre. Questo perchè spesso si posano o con collanti che rimangono fluidi nel tempo, o con l’aiuto di guaine con particolari mescole adesive; inoltre le armature (ricontrollate nelle definizioni) sono applicate separatamente e, quindi, influenzano in modo diverso il comportamento della membrana bituminosa, lasciandone inalterate le caratteristiche pratiche.

MULTISTRATO (e qui le cose si fanno più complicate):

Cominciamo con quello che dovrebbe essere lo strato più importante perchè a diretto contatto con gli agenti atmosferici: lo

STRATO A FINIRE

Non autoprotetto

  • Flessibilità a freddo ≤ -5°C (BPP)
  • Stabilità di forma a caldo dopo invecchiamento con un delta T non superiore a 10°C tra il valore nominale del nuovo e dell’invecchiato
  • Spessore minimo nominale 4 mm. (tolleranza – 10%)
  • Stabilità dimensionale ≤ 0,5 %
  • Resistenza a trazione L/T 400/300 N/5cm (tolleranza – 20%)
  • Per lo strato a finire non autoprotetto è necessario realizzare l’invecchiamento artificiale UV (EN 1297).

Autoprotetto minerale armato poliestere e biarmato (BPP)

  • Flessibilità a freddo ≤ -5°C
  • Stabilità di forma a caldo dopo invecchiamento con un delta T non superiore a 10°C tra il valore nominale del nuovo e dell’invecchiato
  • Massa areica nominale 4,0 Kg/m2 (tolleranza – 10%)
  • Stabilità dimensionale ≤ 0,5 %
  • Resistenza a trazione L/T 400/300 N/5cm (tolleranza – 20%)

Autoprotetto minerale armato poliestere e biarmato (BPE)

  • Flessibilità a freddo ≤ -15°C
  • Flessibilità a freddo dopo invecchiamento con un delta T non superiore a 15°C tra il valore nominale del nuovo e dell’invecchiato
  • Massa areica nominale 4,0 Kg/m2 (tolleranza – 10%)
  • Stabilità dimensionale ≤ 0,5 %
  • Resistenza a trazione L/T 400/300 N/5cm (tolleranza – 20%)

Autoprotetto minerale armato Velo vetro (BPP)

  • Flessibilità a freddo ≤ -5°C (BPP)
  • Stabilità di forma a caldo dopo invecchiamento con un delta T non superiore a 10°C tra il valore nominale del nuovo e dell’invecchiato
  • Massa areica nominale 4,0 Kg/m2 (tolleranza -10%)
  • Resistenza a trazione L/T 200/120 N/5cm (tolleranza – 20%)

Autoprotetto minerale armato Velo vetro (BPE)

  • Flessibilità a freddo ≤ -15°C (BPE)
  • Flessibilità a freddo dopo invecchiamento con un delta T non superiore a 15°C tra il valore nominale del nuovo e dell’invecchiato
  • Massa areica nominale 4,0 Kg/m2 (tolleranza -10%)
  • Resistenza a trazione L/T 200/120 N/5cm (tolleranza – 20%)

Autoprotetto con lamina metallica armato

  • Stabilità di forma in condizioni di variazioni cicliche di temperatura ≤ 2 mm/m (EN 1108)

Si notano subito un’enormità di differenze tra un tipo di Strato a Finire e l’altro. In particolare con l’ultimo della lista, quello autoprotetto con lamina metallica. Innanzitutto non si fa riferimento a nessuna flessibilità a freddo, a nessuna massa areica, ma solo alla stabilità di forma. Perchè tutto questo? Normalmente le guaine laminate sono solo uno strato puramente estetico e, fino a poco tempo fa, decisamente in declino ma con l’avvento del cool roof si stanno riprendendo! Ovviamente le aziende che le producono, per ora, mirano ad avere una guaina di qualità perchè è un prodotto che può andare in monostrato, ma se pensiamo a come il mercato evolve normalmente, presto ci troveremo con membrane laminate bianche da multistrato con caratteristiche qualitative scarsissime proprio perchè non si fa cenno, nelle Linee Guida, nè nelle norme di riferimento, a dati concreti! Questa è un’interpretazione molto pessimistica, si potrebbe pensare anche che l’annotazione circa le guaine laminate sia solo un’aggiunta alle caratteristiche che devono avere anche le altre! Il problema è che non c’è scritto! nessun riferimento! mentre per tutte le altre guaine si ripetono le caratteristiche, anche se uguali, per quelle laminate non vi sono altre voci! Quindi: accorti a leggere tutte le caratteristiche della scheda tecnica.

SOTTOSTRATI

  • Flessibilità a freddo ≤ 0°C (BPP); ≤ – 10°C (BPE)
  • Massa areica nominale 3 Kg/m2 (tolleranza -10%); in alternativa spessore minimo nominale 2 mm. (tolleranza – 10%)

Come si può notare i dati richiesti per un sottostrato sono veramente minimali. Certo non è che servano prestazioni particolari, però se pensiamo che potremmo fare un doppio strato che in totale non raggiunge i 4mm ci sarebbe da rivedere tali definizioni, o meglio, specificarle inserendo la differenziazione tra guaina da saldare a fiamma e guaine auto o termoadesive, dove con spessori più bassi non si hanno perdite di mescola in quanto non si usa la fiamma per farle aderire, o la si usa al momento della posa dello strato a finire!

 SISTEMI SOTTO PROTEZIONE PESANTE

Per il sistema in MONOSTRATO si usano le indicazioni sopra riportate con l’esclusione delle prove ai raggi UV…. che per ovvi motivi non ha importanza, mentre per i sottostrati vi sono indicazioni particolareggiate:

  • Flessibilità a freddo ≤ -5°C (BPP), ≤ -15°C (BPE)
  • Spessore minimo nominale 4 mm. (tolleranza ± 0,2)
  • Stabilità dimensionale ≤ 0,5 %
  • Resistenza a trazione L/T 500/400 N/5cm (tolleranza – 20%)
  • Punzonamento statico “metodo A” ≥ 15Kg.
  • Punzonamento dinamico su supporto rigido ≥ 70 cm.

Ovviamente questi sono valori che devono appartenere ad “almeno uno dei due strati”. Certo ci sono moltissime tipologie di protezione pesante, ma continuo a domandarmi come mai i produttori abbiamo inserito nelle norme delle scappatoie grandi come gallerie autostradali. Infatti se andiamo a valutare come solo nello strato superiore il minimo dei parametri che sono soprascritti, per lo strato inferiore dobbiamo poter utilizzare parametri che dobbiamo cercare in queste linee guida e le troviamo solo nei sistemi multistrato per le coperture a vista, ossia una guaina da 0° con spessore di 2mm….

La norma di riferimento, che vale sopra ogni altra cosa è la EN 13707: norma alla quale fanno riferimento tutti i sistemi sotto protezione pesante, con l’esclusione di quelli con protezione stesa a caldo (binder stradale ad esempio)

SISTEMI ANTIRADICE

La norma di riferimento è la EN 13948 che determina i test e i risultati per la penetrazione delle radici, per i dati che non vengono inseriti nelle linee guida possiamo facilmente intuire che si seguiranno quelle relative alle coperture pesanti. Anche se in questo caso i materiali da utilizzarsi saranno decisamente più performanti se confrontati con un sistema multistrato e leggermente meno se confrontati con il sistema monostrato:

  • Flessibilità a freddo ≤ -10°C (BPP), ≤ -20°C (BPE)
  • Spessore minimo nominale 4 mm. (tolleranza ± 0,2)
  • Stabilità dimensionale ≤ 0,5 %
  • Resistenza a trazione L/T 500/400 N/5cm (tolleranza – 20%)
  • Punzonamento statico “metodo A” ≥ 15Kg
  • Punzonamento dinamico su supporto rigido ≥ 70 cm.
  • Resistenza alle radici secondo i test che verranno indicati dalla eventuale pubblicazione di
  • una Norma specifica (attualmente è in fase di progetto la Norma prEN 13948 – la norma è stata pubblicata nel 2007, mentre le linee guida sono del 2006).

In attesa di riferimenti normativi si indica una lista di prodotti che sono esonerati da tale prova:

  • o membrane bitume polimero contenenti un additivo antiradice tipo clorotolilossipropionato di poliglicole (Preventol B2 della Bayer) in quantità non inferiore a 0,5% sulla massa del bitume;
  • o membrane bitume polimero in doppio strato contenenti una armatura in film di poliestere con spessore minimo di 50 micron.

 

I redattori delle Linee Guida hanno fatto un grande lavoro armonizzando e categorizzando la grande confusione che c’era prima di esse; purtroppo produttori, rappresentanti, applicatori, clienti, rivenditori e progettisti hanno portato il mercato a scegliere sempre la soluzione minima garantita senza avere il ben che minimo margine di qualità a disposizione.

Quindi possiamo concludere dicendo che le Linee Guida ci danno i limiti minimi, non certo quelli massimi! sta a noi cercare di scegliere i materiali migliori per la singola applicazione piuttosto che quelli che costano meno.

Altro punto delicato è l’evoluzione del mondo edile: di solito è piuttosto lento, ma la tecnica edile evolve molto più velocemente! proprio per questo dobbiamo svincolarci dai minimi richiesti! proprio perchè chi scrive le Linee Guida non fa altro che fotografare l’attuale situazione e non può prevedere dove ci portarà l’evoluzione tecnica!

 

Unico consiglio sempre vero: leggete le schede tecniche attentamente! c’è tutto tra le cose scritte e anche tra quelle non scritte! In questa serie di articoli ho riportato una serie di noiosissimi dati che, alla fine, sono in grado di raccontarci tutto anche tra le righe!


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Come leggere la scheda tecnica delle membrane bituminose – membrane flessibili per impermeabilizzazione – UNI EN 113707-2013

La norma in questione, la EN 13707:2013, è piuttosto lunga e complessa, ci descrive come e cosa sono le coperture continue ed, in particolare, come devono essere fatte e controllate le guaine bituminose per le coperture continue.

In questo resoconto saranno molti i dati riportati, ma ognuno di loro è importante e può essere utilizzato al meglio per fare il massimo per dare le migliori garanzie a coloro per cui lavoriamo.

Partiamo dalla definizione di

  1. IMPERMEABILIZZAZIONE: Azione per prevenire il passaggio d’acqua da un piano all’altro.
  2. SISTEMA DI IMPERMEABILIZZAZIONE: Assemblaggio di uno o più strati di membrana per coperture applicati e collegati tra loro, che hanno particolari caratteristiche di prestazione, da valutare insieme.
    • nota 1: quando si utilizza un solo strato si parla generalmente di monostrato
    • nota 2: un sistema di impermeabilizzzazione bituminosa è realizzato in sito unendo e sigillando uno o più strati di membrana bituminosa sovrapposti per formare un singolo strato impermeabilizzante composito da utilizzare su superfici piane, inclinate o verticali secondo i requisiti costruttivi di applicazione.
  3. COPERTURA: impermeabilizzazione utilizzata nel tetto di una costruzione, compresi tetti utilizzati per parcheggio di veicoli e tetti giardino.
  4. MEMBRANA DI COPERTURA: Membrana flessibile prefabbricata comprendente armatura, rivestimenti, trattamento superficiale e/o finitura superficiale
  5. ARMATURA: materiale incorporato nella membrana bituminosa di copertura prefabbricata o sopra di essa per assicurare la sua stabilità e/o resistenza meccanica. – le armature più utilizzate sono in poliestere in filo continuo, poliestere da fiocco stabilizzato, velo di vetro, rete di vetro.
  6. FINITURA SUPERFICIALE: Materiale incorporato sulla membrana di copertura prefabbricata senza una funzione meccanica permanente – ardesia o tessuti superficiali per far aderire le vernici o usati come trattamenti antiscivolo
  7. RIVESTIMENTO SUPERFICIALE: Materiale applicato su una o due facce della membrana di copertura sia come leggera protezione permanente di superficie contro gli agenti atmosferici sulla superficie superiore sia come sostanza anti-adesivo delle membrane di copertura. – Per quanto riguarda le finiture sulla faccia superficiale si fa riferimento all’armatura in velo di vetro delle guaine biarmate.
  8. LOTTO: quantità di prodotto fabbricata con la stessa specifica entro un periodo massimo di 24 ore.
  9. VALORE LIMITE DEL FABBRICANTE, MLV: Valore stabilito dal fabbricante che deve essere raggiunto durante le prove e che può essere un valore minimo o massimo secondo le dichiarazioni fatte per le caratteristiche di prodotto della norma in oggetto.
  10. VALORE DICHIARATO DAL FABBRICANTE – MDV: Valore dichiarato dal fabbricante associato ad una tolleranza dichiarata.
  11. MEMBRANA BITUMINOSA ARMATA: Membrana prefabbricata bituminosa flessibile con all’interno o all’esterno una o più armature fornita in forma di rotolo pronta per l’utilizzo – sembra una definizione scontata ma nei mercati esterni, soprattutto in quello francese, esistono membrane bituminose non armate.
  12. BITUME OSSIDATO: Bitume di petrolio grezzo di prima distillazione o bitume flussato per è indurito e reso meno sensibile alla temperatura insuflando aria ad alta temperatura con o senza l’utilizzo di catalizzatore.
  13. BITUME ELASTOMERICO: Bitume di petrolio e/o Bitume ossidato modificato con l’aggiunta di gomme termoplastiche
  14. BITUME PLASTOMERICO: Bitume di petrolio e/o Bitume ossidato modificato con l’aggiunta di poliolefine o mescole di copolimeri poliolefinici. – come si può notare nella norma non si fa riferimento a nessun tipo di mescole ELASTOPLASTOMERICHE. E’ una definizione puramente commerciale per definire quelle membrane plastomeriche che hanno una flessibilità a freddo piuttosto bassa. Essendo una definizione non normata ogni produttore decide quali prodotti inserire in questa classificazione, generalmente si parla di membrana che partono da una flessibilità a freddo massima di -15° fino a -25°
  15. CAMPIONAMENTO: Procedimento utilizzato per selezionare o costruire un campione.
  16. CAMPIONE: Membrana dalla quale si preleva un pezzo da sottoporre a prova.
  17. PEZZO DI PROVA: Parte del campione dal quale si prelevano i provini.
  18. PROVINO: Pezzo di precise dimensioni predo dal Pezzo di Prova.

Quando una tolleranza è limitata dalla norma non deve essere indicata. Questa particolare definizione ci fa capire come sia importante conoscere le norme di riferimento sulle membrane bituminose. Nel caso non sia data una tolleranza è il caso di andare a vedere quale sia quella stabilita dalla norma specifica.

Vengono specificati anche i valori che possono entrare nelle schede tecniche che si possono leggere qui. oltre a questi, nella nuova versione della norma è stato aggiunta la presenza di SOSTANZE PERICOLOSE: non devono contenere amiantocatrame (da non confondersi con bitume) se ci sono additivi considerati pericolosi il fabbricante deve dichiararlo sull’imballaggio e sulla scheda tecnica e di sicurezza. Questa forte restrizione permette sia ai posatori, sia ai clienti finali di rendersi conto dell’eventuale pericolosità del materiale.

Parte fondamentale della norma è il CONTROLLO DI PRODUZIONE DI FABBRICA (FPC): la norma richiede che il produttore DEVE stabilire, documentare e mantenere un FPC (ISO 9001). Essendo tutti i documenti tratti da una certificazione ISO 9001 sono sempre ispezionabili da una persona addetta (auditor interno o esterno) ai controlli anche se nominato da una persona esterna… il posatore o il cliente finale. La sorveglianza dell’FPC deve essere fatta una volta all’anno. Ecco perchè è fondamentale che quando si trovano difetti o problemi, vengano segnalati con una NON CONFORMITA’ o un RECLAMO scritti. Questo serve alle aziende produttrici a migliorare sempre il prodotto e ai clienti di poter stabilire il danno causato dal difetto.

Nella norma è stato inserito anche un valore per la RESISTENZA CHIMICA delle membrane bituminose. La inserisco in quanto potrebbe essere utile conoscerne il contenuto nel caso ci si trovasse di fronte a particolare inquinanti chimici o lavorazioni interne.

 

Sostanza Concentrazione T ≤ 30° T ≤ 65°
Acido solforico < 25 + +
Tra 25 e 95 + O
> 95
Oleum – miscela di triossido di zolfo in acido solforico
Acido Nitrico < 10 + O
Tra 10 e 65 O O
> 65
Acido Cloridrico < 25 + +
Tra 25 e 36 + O
> 36 O
Acido Formico 40 + O
Acido Benzoico +
Acido Butirrico
Acido Acetico 25 + +
Acido Oleico
Acido Ossalico + +
Acido Ftalico +
Acido Tartarico < 25 + +
25 +
Acido Citrico + +
Idrossido di Ammonio + +
Idrossido di Potassio + O
Idrossido di Sodio + O
Piridina e derivati
Trietanolammina +
Cloruri + +
Nitrati + +
Solfati + +
Acqua potabile + +
Birra +
Glicoli + +
Melasse + +
Zucchero + +
Soluzioni saponate + +
Liquame +
Acque reflue O O

Periodo di reazione di 30gg

  • + stabile
  • – instabile
  • o non stabile in tutti i casi

Potrebbe sembrare inutile e una perdita di tempo leggere questa tabella, ma se pensate che ogni tipo di stabilimento, di capannone, di casa è soggetta ad aggressivi chimici durante la sua vita, è meglio conoscere come reagirà la membrana bituminosa. Facciamo degli esempi ricordandoci sempre che i test fanno riferimento ad un periodo di reazione di 30 gg.

  1. Giardino pensile: durante le concimazioni si inseriscono spesso Cloruri e Nitrati che potrebbero aggredire il sistema impermeabilizzante;
  2. Acetaia: se l’impianto di aspirazione non è perfettamente funzionante si sviluppano vapori di acido acetico che potrebbero, attraverso i giunti di dilatazione o il calcestruzzo, aggredire lo strato impermeabilizzante;
  3. Conceria: vengono utilizzati svariati acidi che potrebbero aggredire lo strato impermeabilizzante
  4. Tintoria: spesso vengono usati acido solforico e acido nitrico che, se non funziona perfettamente l’impianto di aspirazione, diventano volatili e passano attraverso il solaio fino all’impermeabilizzazione
  5. mangimificio: viene utilizzato acido formico come antibatterico contro la salmonella
  6. Aziende alimentari: E210 è la siglia dell’acido Benzoico come additivo alimentare
  7. Depositi Alimentari: Quando un prodotto organico va in putrefazione, l’odore acre che si sente è l’Acido Butirrico, non è un caso che non si possano utilizzare le guaine bituminose come impermeabilizzanti nelle discariche.
  8. Acido Ossalico: viene utilizzato in numerose industrie: detersivi, prodotti per il legno purificante per pelli e tessuti, inchiostri e gomme.

Come si può vedere, conoscere le reazioni delle membrane bituminose ci può porre davanti ad una facile soluzione circa le impermeabilizzazioni in determinate circostanze inoltre chiunque abbia una produzione che utilizzi queste sostanze è in grado di definire chi, tra gli applicatori interpellati, saprà fornirgli le giuste garanzie.

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Come leggere la scheda tecnica delle membrane bituminose – Reazione al fuoco – UNI EN 13501-1

Questa è una normativa generale che parla della reazione al fuoco dei materiali edili dividendoli in categorie rispetto ai risultati ottenuti dai test.

Visto che i test riguardano molti materiali edili inserirò solo i risultati che si possono ottenere nelle normali guaine bituminose:

CLASSE F: Non si definisce alcun comportamento
CLASSE E: Con un’esposizione di 15 secondi l’ampiezza di propagazione della fiamma non DEVE ESSERE SUPERIORE a 150mm verticalmente nei 20 secondi che seguono l’applicazione.
CLASSE D: Come la Classe E ma con un’esposizione di 30 secondi e controllo nei 60 secondi successivi.

Cosa molto più interessante è capire come avviene la classificazione delle guaine cosi dette “antincendio”. Sentite parlare e leggete nelle schede tecniche una definizione che fino all’anno scorso era un mistero. B-ROOF

B-ROOF altro non è che un altro risultato di un test fatto per capirne la combustibilità. Ma questo termine, chiaramente non italiano, deriva dal fatto che è entrato prepotentemente sul mercato delle coperture il sistema fotovoltaico che, per sua natura, è un costante pericolo d’incendio ma con grande rischio per chi dovrà estinguerlo.

B-ROOF vuol dire che la guaina bituminosa è additivata con master antifiamma e che non è combustibile! Questo in soldoni! però è bene capire cosa vogliono dire le sigle che seguono la dicitura B-ROOF: T1, T2, T3, T4.

  • T1 – Germania, Spagna, Benelux – metodo del tizzone ardente
  • T2 – Paesi Scandinavi – metodo del tizzone ardente e del vento
  • T3 – Francia – Metodo del tizzone ardente, più vento, più fonte di calore esterna
  • T4 – Gran Bretagna – Metodo del tizzone ardente, pià vento, più fonte di calore esterna.

Queste classificazioni non sono alternative l’una all’altra, ma semplicemente ognuna riguarda un determinato paese. ovviamente l’Italia non ha una sua normativa ma, dal momento che i produttori italiani vendono in tutta Europa, usiamo quelle già esistenti… tutte! Per quale motivo, allora, si certificano tutti i tetti come B-ROOF T2? semplicemente perchè si guarda che i materiali componenti la stratigrafia del tetto abbiano le giuste certificazioni, mentre nelle altre viene certificata l’intera stratigrafia e una sola variazione di uno spessore ne fa decadere il certificato B-ROOF.

Parlando in termini pratici e seguendo le direttive dei VVFF si possono eseguire coperture, che saranno certificate, classificate F-ROOF con l’installazione di pannelli fotovoltaici di classe 1 o coperture B-ROOF con pannelli fotovoltaici di classe 2.

Quindi ogni volta che dobbiamo installare un tetto fotovoltaico, o farcelo installare, dobbiamo considerare che è possibile farlo con le guaine bituminose e che, queste, dovranno avere delle certificazioni relative ai pannelli che verranno montati: se di classe 2 (più economici e con maggior rischio d’incendio) saranno necessarie guaine B-ROOF, mentre se i pannelli saranno in classe 1 (più costosi e meno rischiosi) si potrà utilizzare una guaina adatta al tipo di copertura con con classificazione F-ROOF.

Altra questione è quale guaina segliere da mettere sotto i pannelli fotovoltaici. Secondo la Guida alle applicazioni innovative finalizzate all’integrazione architettonica del fotovoltaico emessa dal GSE una copertura fotovoltaica è integrata se ha le caratteristiche dell’elemento architettonico che sostituisce! quindi se sostituisce un elemento di copertura (tegole, lamiere, etc.) dovrà avere tutte le caratteristiche di una copertura discontinua e, quindi, impermeabile. In questo caso si potrà utilizzare una semplice guaina sottotegola; nel caso il sistema fotovoltaico non sia “integrato” allora si dovranno utilizzare guaine bituminose che possono stare a vista e quindi si potrà scegliere tra un monostrato o un pluristrato, ma non si potrà usare una guaina sottotegola.