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Impermeabilizzazioni: La scelta

Nel mondo delle impermeabilizzazioni vi sono innumerevoli materiali e svariate tecniche di posa. Il problema di base oggigiorno in questo settore è proprio questo: in assenza di norme chiare non vi è nulla che determini quale sia il corretto sistema di posa da adottare. A causa di queste mancanze i materiali si sono moltiplicati facendo precipitare inevitabilmente la qualità dei prodotti verso il basso. Il fatto che questi prodotti siano marchiati CE non è certo un’automatica garanzia di adeguatezza del prodotto. In fondo, per apporre questo marchio ad un prodotto, è necessario solo che questo risponda ad alcune normative tecniche generiche (norme tecniche volontarie).

Tra i tecnici si è aperta, ormai da molto tempo, una battaglia filosofica su chi sia il responsabile di questa situazione e sul come agire per poter uscire da questa “palude”. Possiamo identificare due correnti di pensiero prevalenti tra gli operatori del mondo della protezione dall’acqua: chi cerca di usare al meglio quello che il mercato dei prodotti gli fornisce e chi invece pretende materiali performanti e basta.

Quelli che appartengono al primo gruppo sostengono che, per eseguire una buona impermeabilizzazione, è necessario adottare tutte le tecniche adeguate per risolvere all’origine le problematiche dovute alle deficienze dei materiali. Un esempio tipico è la “memoria elastica” delle membrane bituminose: si tratta di un ritiro dovuto allo stiramento dell’armatura della guaina che è stato fatto in fase di produzione per permettere una maggior produzione oraria. Da quest’azione nascono diversi problemi quali: instabilità dimensionale, reptazione, mancanza di rettilineità, ritiri, etc. Per ovviare questi problemi il posatore deve adottare la posa in totale aderenza con, spesso e volentieri, l’aggiunta di zavorre localizzate nei punti di maggior estrazione al vento

Gli appartenenti al secondo gruppo, non ammettendo che vi siano materiali con carenze dovute a scelte economiche fatte durante la produzione, addossano le problematiche che ne scaturiscono ai produttori: se un’armatura di scarsa qualità può creare problemi, perché non usarne una che garantisca migliori prestazioni seppur più costosa? Quindi vanno alla ricerca dei materiali più performanti andando a richiedere specifici criteri di fabbricazione del materiale al produttore.

Se volessimo tastare con mano queste due filosofie di pensiero ci basterebbe fare da spettatori ad una delle tante discussioni sull’argomento tra l’arch. Broccolino e il geom. Piccinini, due emeriti rappresentanti di queste filosofie di pensiero: Broccolino per l’adattabilità a quanto presente sul mercato, Piccinini per la qualità totale.

Il punto nevralgico di queste discussioni è sempre lo stesso: giustificare o no i produttori di materiali per le impermeabilizzazioni. Chi scrive, pur rispettando l’esperienza e la cultura tecnica di Broccolino, è schieratissimo con Piccinini.

La questione è che i produttori di materiali hanno come scopo primario quello di produrre un utile (esattamente come tutte le aziende esistenti), attraverso la vendita di prodotti, mentre sono poco interessati al come si devono eseguire perfette impermeabilizzazioni. I posatori, che dovrebbero avere a cuore quest’argomento, sono però purtroppo sommersi da una “giungla” di prodotti dove, senza un’adeguata formazione obbiettiva, faticano ad orientarsi. Spesso si orientano su prodotti di scarsa qualità per poi lanciarsi in acrobazie tecniche per risolvere i problemi congeniti che da questi prodotti inevitabilmente arrivano.

Purtroppo il mercato, nel nostro settore, è ancora gestito dai produttori e dai rivenditori di materiali edili che, per produrre reddito, cercano continuamente di abbassare i costi produttivi (abbassando inevitabilmente la qualità del prodotto) in modo da poter vendere il maggior numero di pezzi. A chi verranno venduti questi prodotti, e quali prestazioni avranno effettivamente, poco gli importa… e proprio qui sta l’inghippo!

Fin quando il mercato del settore impermeabilizzativo verrà gestito da chi produce o vende i materiali, questi verranno ceduti a chiunque ne faccia richiesta, senza se e senza ma. Certo è che anche se questo mercato venisse affidato ai posatori si rischierebbe di cadere ancora più in basso. E’ vero che il posatore professionista dovrebbe mirare all’ottenimento del miglior risultato possibile ma sempre più spesso in questo settore i posatori sono “improvvisati” e mirano al solo principio di economicità del lavoro, cercando di ottenere un maggior rapporto tra costi e ricavi aumentando il più possibile l’utile del lavoro. Essendo inoltre così facile l’accesso a questi materiali, diventa altrettanto facile poter entrare nel mondo degli applicatori aumentando la concorrenza non qualificata e, conseguentemente, diminuendo i prezzi (legge della domanda e dell’offerta). Ma diminuire i prezzi non vuol dire, per forza, diminuire l’utile d’impresa: per mantenere costante il valore della posa si cercherà di diminuire il costo del materiale acquistato; se il produttore non abbasserà il prezzo del materiale che solitamente usano, sceglieranno il materiale di qualità inferiore. Così gli applicatori seri continueranno a ricercare i materiali migliori per realizzare opere perfette e durature, mentre gli altri (non è detto che non siano seri, magari sono solo ignoranti) cercheranno di combattere la concorrenza con il prezzo basso.

Ma allora chi dovrebbe gestire il mercato dei materiali impermeabilizzanti? A mio avviso rimangono solo i progettisti, ossia coloro che, pur essendo in parte interessati al costo delle opere d’impermeabilizzazione, dovrebbero avere come interesse primario le garanzie reali che i prodotti e la loro applicazione daranno nel tempo.

E come un cane che si morde la coda ecco che tutto torna in mano ai produttori, gli unici che fanno corsi di aggiornamento per i progettisti. Gli ordini professionali inoltre, che in questa vicenda dovrebbero essere garanti ed imparziali, sono purtroppo sempre più spesso complici. A loro poco importa chi tiene il corso e quali concetti vengono divulgati, l’importante è che qualcuno paghi per poterlo fare. In questo sistema solo i produttori sono disposti a pagare un ordine professionale affinché possa spiegare ai loro iscritti come e cosa fare….. ed essendo loro a farlo, appare ovvio che spingeranno i loro prodotti a prescindere dalla qualità e dalle prestazioni.

Urge una riforma di questo sistema! Una riforma che deve passare inevitabilmente attraverso professionisti intellettualmente onesti e, perché no, intransigenti. Solo così si potrà iniziare un percorso virtuoso che possa avere come traguardo la perfetta esecuzione delle opere impermeabili.

Così facendo gli applicatori saranno obbligati a dare delle vere garanzie, garantendo soprattutto di esistere per il tempo necessario (almeno 10 anni) per poter eseguire le eventuali manutenzioni sui lavori eseguiti. I produttori in questo scenario futuribile si dovranno arrendere e dedicare le loro energie a produrre solo materiali di alta qualità che corrispondano alle specifiche tecniche necessarie per la realizzazione di opere impermeabilizzative durevoli.

In attesa che si possa realizzare questo scenario la cosa migliore è quella che progettisti ed applicatori “qualitativi” si riuniscano in un progetto di operatività ad alto livello e che venga istituita la figura del tecnico delle impermeabilizzazioni che possa eseguire i giusti collaudi in corso d’opera. In questa strategia un passaggio fondamentale potrebbe essere quello di coinvolgere gli stessi produttori (quelli che ovviamente siano intenzionati a credere nella qualità totale del prodotto) inducendoli ad usufruire di questi professionisti per i collaudi in corso d’opera delle lavorazioni per cui concederanno la polizza postuma.

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Il collaudo in corso d’opera nelle impermeabilizzazioni

Abbiamo spesso discusso di come fare per controllare il processo di realizzazione di un’opera impermeabilizzativa. Abbiamo detto che è fondamentale che vi sia la giusta scelta del materiale, la giusta scelta del posatore e la giusta scelta del progettista. Certo, senza questi tre ingredienti è impossibile avere un sistema a tenuta veramente funzionante nel tempo.
E’ ora di cominciare ad entrare più nel dettaglio nel funzionamento di questi processi decisionali che portano una copertura ad non subire infiltrazioni d’acqua.

Le scelte del progettista non servono solo a creare un capitolato, ma devono anche essere durature nel tempo e portare dei benefici ben oltre le garanzie richieste dalla legge. Se un’impermeabilizzazione deve essere garantita 10 anni, non vuol dire che non ne possa durare 100. A questo servono i mesi passati dai professionisti a ricercare, studiare e testare i materiali che verranno posati nelle coperture.

Troppo spesso questa scelta viene delegata all’ufficio tecnico del produttore di impermeabilizzanti, o peggio all’agente commerciale. Nulla da dire su queste figure ma il loro scopo non è quello di realizzare il miglior strato impermeabilizzante possibile ma quello di posare il miglior prodotto fatto nella tal fabbrica, per il primo, o vendere il più redditizio per il secondo. Se siamo fortunati le scelte, filosoficamente diverse, coincidono, altrimenti ci troviamo ad aver buttato via del denaro inutilmente.

Per questo è importantissimo che la scelta delle tecnologie da applicare venga riportato in progettazione e messa in mano all’architetto o all’ingegnere o al geometra di turno.

Purtroppo abbiamo visto che la vastità del panorama dei prodotti in commercio potrebbe solo far perdere l’orientamento al progettista che, trovandosi decisamente confuso, ricadrebbe nell’errore iniziale di delegare al produttore di fiducia le sue scelte; ma se ne prenderebbe le responsabilità.

Per questo si rende necessario introdurre delle figure altamente specialistiche che abbiano la funzione principale di eseguire le scelte in nome e per conto del progettista, coadiuvandolo nelle scelte e guidandolo nei percorsi intricati dei corridoi del mondo delle impermeabilizzazioni.

Questi consulenti (effettivamente non esiste una figura tipica che faccia questo mestiere) devono essere altamente specializzati e conoscere tutte le tecnologie a disposizione, non solo per aiutare nella progettazione, ma anche per poter seguire le fasi di posa.

Il codice degli appalti, attualmente in vigore, ci dice che nei lavori pubblici (e noi lo mutuiamo anche per quelli privati) è necessario che le operazioni di realizzazione dell’opera edile siano seguiti da una figura detta Direzione Lavori. Questi deve essere un professionista iscritto all’albo di appartenenza.

Ora, per semplificare le cose, faremo finta che sia una normativa unica nazionale e, quindi, unica via da percorrere. In questo caso ci troveremmo con dei progettisti che, per quanto bravi e preparati, non sono in grado di seguire ogni tipologia di lavorazione. Per questo vi è la possibilità di introdurre degli aiuti: i collaudatori in corso d’opera. L’articolo 215, al comma 4 ci dice che il collaudo in corso d’opera è necessario in un determinato tipo di situazione; in particolare anche quando <<b) in caso di lavoro di particolare complessità di cui all’articolo 236>>, ossia i lavori di particolare difficoltà tecnica.

Sicuramente qualcuno potrebbe obiettare che le impermeabilizzazioni lo siano, anzi, sono sicuro che la maggior parte di coloro che leggeranno questo articolo lo penseranno. Alcuni lo faranno in quanto professionisti specializzati, che fanno solo questo di mestiere; altri per arroganza, altri semplicemente per sentito dire. Rimane che le impermeabilizzazioni sono una delle parti fondamentali di un edificio. Senza questa protezione fondamentale, tutti i calcoli ingegneristici che vengono eseguiti per far lavorare correttamente una struttura, scemeranno in un cumulo di macerie dopo pochi anni dalla sua realizzazione.

Quindi, tornando a noi, la legge già prevede che ci sia una figura professionale che possa coadiuvare la D.L. Nel controllo della realizzazione delle opere impermeabili.

Occorre a questo punto definire in maniera chiara e precisa alcuni concetti che saranno poi fondamentali per l’elaborazione e per il rispetto dei protocolli di posa e di verifica dei lavori.

Una piccola premessa è a questo punto necessaria, e ci sarà utile tenerla a mente anche in futuro, per capire meglio le difficoltà che si dovranno man mano affrontare.

Dieci anni di garanzia, perché?

Il concetto, quasi sempre mal interpretato, che le opere di protezione e di impermeabilizzazione debbano durare dieci anni è fondamentalmente sbagliato, sia dal punto di vista teorico che pratico.
Se andiamo a comprare una Ferrari nuova fiammante, il produttore della vettura (che dal punto di vista tecnologico è ben più complessa di un’opera impermeabilizzativa) ci garantisce il bene venduto per due anni dalla data di acquisto. Ciò non significa che la vettura Ferrari per la quale abbiamo speso cifre molto consistenti, dopo due anni può tranquillamente cadere a pezzi o esplodere perché “tanto la garanzia è scaduta”.
No. Il significato di garanzia è ben diverso.
Garanzia significa che il bene acquistato è funzionale all’impiego previsto e che nel periodo di tempo programmato non deve manifestare danni o difetti che ne possano pregiudicare l’utilizzo.
Si assume perciò il concetto (sia per la Ferrari che per l’opera di impermeabilizzazione), che il bene acquistato debba durare molto, ma molto più a lungo del termine di garanzia, e che entro questo periodo tutti le incombenze derivanti da danni o difetti siano a carico del produttore (vedi Ferrari) o di chi ha realizzato l’opera (vedi lavoro in opera).
È legittimo aspettarsi che un lavoro di impermeabilizzazione correttamente realizzato possa, anzi debba, tranquillamente durare quarant’anni e più, e non solo dieci anni e un giorno. Anche perché le opere edili sono progettate e costruite per garantire la propria funzionalità per tempi variabili dai quaranta ai duecento anni e oltre.

Ora che abbiamo dato un piccolo cenno all’importanza dei lavori che si andranno a realizzare, si dovranno definire in maniera precisa alcuni criteri di riferimento per le future considerazioni e conclusioni.

Prestazione di un’opera
Il concetto è molto spesso poco o per nulla compreso. Le domande sono: a quali sollecitazioni (fisiche, chimiche e biologiche) deve resistere? Una copertura piana di 10.000 mq completamente esposta avrà necessariamente delle richieste di prestazione diverse rispetto a un balcone.

Sicurezza dell’opera
Che cosa devo proteggere? Se l’edificio contiene delle opere d’arte di valore inestimabile, come ad esempio un museo, i criteri di progettazione e di realizzazione dei lavori saranno diversi rispetto a quelli che si adottano per un tetto di un box auto.

Possibilità o meno di manutenzione
Alcune opere sono manutenzionabili, come ad esempio una copertura a vista, altre no, come quelle interrate o ricoperte con massetti e pavimenti. Ovviamente (ma mica tanto), andranno studiate e affrontate in maniera completamente diversa.

Durabilità
Quanto tempo deve verosimilmente passare prima che l’opera sia “esaurita”? Ovvero qual è il tempo per il quale realisticamente posso considerare che l’opera assolva al suo compito prima della sua ricostruzione? Ad esempio, secondo una vecchia ma ancora valida regola della SAE (Society of Automotive Engineers) i motori automobilistici vengono progettati per durare 150.000 miglia, ovvero circa 240.000 km. Ma questo non significa che tutti i motori durano almeno o soltanto ciò che è stato previsto in progetto.

Il collaudo in corso d’opera è un’attività ispettiva di lavori particolarmente importanti o complessi che richiede il controllo continuativo o comunque molto frequente dei lavori, da parte di un soggetto avente esperienza in quel determinato settore.

Quando avevo la mia impresa di lavori in opera, ho svolto degli interventi di notevole complessità e difficoltà in ambienti dove un semplice errore avrebbe comportato dei danni enormi, come ad esempio quando nel 2001 abbiamo realizzato l’impermeabilizzazione della piscina sospesa del Yacht Club Porto Cervo, per conto del Principe Karim Aga Khan.
In quelle occasioni il Committente affidava ad un suo incaricato il controllo a vista continuativo dell’intero intervento, dall’inizio alla fine.
Successivamente, avendo valutato quanto tale attività fosse vantaggiosa, perché con questa modalità di controllo e verifica le possibilità di errore diventavano bassissime o nulle, ho iniziato a proporlo ai clienti come servizio.
Dopo alcune sperimentazioni su lavori di piccola entità, ho strutturato meglio il tipo di servizio offerto.

Il primo lavoro importante di collaudo in corso d’opera che ho svolto personalmente è stato quello della riqualificazione strutturale della torre di controllo dell’aeroporto di Olbia sotto sorveglianza ENAV, in occasione della sua sopraelevazione dalla quota di m 30,50 a quella di m 46,50. Vi era la necessità di aumentare la resistenza di otto travi in ca esistenti tramite inserimento di nuove armature e ispessimento con malte ad alta resistenza.
Tutto si è svolto secondo programma, con ampia soddisfazione del Committente, della DL e dell’Impresa, nonché del sottoscritto, infatti il mese dopo mi affidarono lo stesso incarico per un lavoro analogo alla torre di controllo dell’aeroporto di Alghero.

Si tratta di un servizio di verifica e controllo, comprendente la compilazione di alcuni report sia cartacei che fotografici, raccolti poi in un fascicolo, dove tutti gli elementi utili dell’opera vengono fissati e memorizzati per il futuro. È un’attività che in molti casi può essere svolta anche da tecnici non esperti, sotto la supervisione di uno più qualificato.

 

Marco Argiolas

Arcangelo Guastafierro