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Impermeabilizzazioni: la scelta


Le impermeabilizzazioni, come tutto in questo mondo, stanno cambiando, si stanno modificando e stanno evolvendo perchè è il mondo intorno a noi che cambia. Cambia? Permettetemi di essere polemico per l’ennesima volta. Cambia? Peggiora! Da cosa traggo questa mia conclusione? Dalla vita quotidiana di tecnico che viaggia per i cantieri e vola sui tetti che perdono.
La situazione è grave! Ci sono chilometri quadrati di coperture impermeabilizzate che perdono. A cosa sono dovuti questi problemi: secondo le statistiche dei produttori di impermeabilizzati esclusivamente dalla cattiva posa ed alle costruzioni fatte male; secondo le statistiche degli impermeabilizzatori esclusivamente alla carenza di qualità dei materiali e alle costruzioni fatte male; secondo le statistiche dei costruttori dalla carenza di qualità dei materiali e dalla cattiva posa.

Sbaglio o vedo una leggera ridondanza in queste SCUSE? Esatto si tratta di scuse in quanto tutte le ragioni sono vere ed è altrettanto vero che sono tutte false.

Analizziamo le condizioni in cui si trova un progettista che deve scegliere il miglior sistema per impermeabilizzare una copertura (ovvio che anche i progettisti hanno le loro colpe, non sono immuni, ma in questo caso mi vengono buoni per fare l’esempio): diciamo che le condizioni non permettono di utilizzare il buon vecchio manto di guaina bituminosa per svariati motivi, ad esempio molte difformità geometriche e spazi ristretti. Ovviamente il buon progettista fa una lista delle aziende che ritiene di valore e le contatta per risolvere il problema: la prima dice che con una splendida resina poliuretanica alifatica monocomponente risolve il suo problema e che un’armatura in MAT di vetro restituisce anche caratteristiche meccaniche invidiabili, ma costa tanto; il secondo concorda con il primo ma perchè buttare soldi in un’armatura che può essere sostituita da un tnt il poliestere che più o meno ha le stesse caratteristiche? In fondo la stabilità dimensionale gli interessa poco; il terzo ritiene che una resina poliuretanica alifatica non sia necessaria e va benissimo quella aromatica, magari color panna con una rete in fibra di vetro.

Visto che il nostro progettista è uno caparbio vuole capire il perchè di tali risposte che non sono assolutamente risolutive per il suo progetto ma gli hanno aumentato il mal di testa e scopre che la prima azienda vende solo ed esclusivamente quel prodotto, che la seconda non ha il MAT di vetro e la terza non sa cosa voglia dire alifatico. Non avendo risposte dai produttori (o commercializzatori che si spacciano per produttori) decide di contattare le imprese che aspettano il suo dettaglio per poter preventivare le spese e anche qui le cose si fanno difficili: la prima (sono sempre tre…) dice che con una guaina bituminosa biarmata riesce a fare tutto senza problemi, il secondo dice che con un bel telo in EPDM non avrà mai più problemi ed il terzo dice che con i prodotti della tal azienda può dormire tra 4 guanciali. Ovviamente il progettista è sempre più in confusione, allora decide di chiamare gli applicatori che gli sono stati consigliati.

Il primo (indovinate quanti sono questa volta) gli spiega che tutte le soluzioni potrebbero essere valide che tutto dipende non dal materiale ma da chi lo posa che l’esperienza sessantennale sulle guaine bituminose (uno mi disse che le monta da sessant’anni … giuro) è importantissima e che le giuste attrezzature sono la panacea; il secondo spiega che la miscelazione delle resine è importante, che la scelta del rullo per posarla è fondamentale e che il primer (evviva uno lo richiama!!!!!!) è strategico; il terzo è molto meno tecnico ma più incisivo: “con la carta catramata di impermeabilizzo quello che vuoi!”.

Ora ditemi voi come fa quel povero progettista a capire e prendersi le responsabilità su un lavoro dove su nove professionisti interpellati nessuno è stato in grado di dargli una risposta priva di dubbi. Ha due strade: chiamare i produttori e dire che mette in capitolato quello che offre di più in moneta sonante, le imprese che fa lo stesso e gli applicatori… che si arrangino; oppure … eh già, oppure? Come si può scegliere il miglior sistema impermeabilizzante? Risposta semplicissima: bisogna studiare, avere occhio critico e seguire i cantieri. Ovviamente un progettista non è in grado di fare ciò e, forse è meglio che si rivolga ad un consulente che sia in grado di dargli le risposte su qualsiasi tecnologia possa essere presente sul mercato.

Ci sono queste figure, le trovi tra i progettisti, tra gli impermeabilizzatori, tra i produttori e tra i rappresentanti, non è facile inquadrarli ma ci sono; il problema principale è che spesso si chiede a questi personaggi, un po’ loschi e sui generis, di fare il lavoro gratis… in fondo se danno la risposta giusta poi fanno il lavoro o vendono il materiale.

Beh io dico che non è giusto! La cultura che un professionista nel campo delle impermeabilizzazioni si è fatto è dovuta a giorni, spesso notti, di studio, di ricerca, di pratica, di esperienza fatta a vangate in faccia, etc. LA CONSULENZA DEVE ESSERE PAGATA. Come fare, allora a certificare la propria competenza? Come si può dimostrare che si sa quello che si dice? Effettivamente non vi è una forma comune a tutti che possa essere un patentino o altro, ma si può vedere in ciò che ha fatto, nei problemi che effettivamente ha risolto, nella capacità di uscire dagli schemi e di adattarsi alla situazione, da ciò che dimostra sapere (magari con quello che scrive … scusate ma un po’ di pubblicità personale me la faccio).

Da quando per scherzo ho cominciato a scrivere di impermeabilizzazioni (per me era solo un esercizio intellettuale per capire se sapevo le cose o no e come presentare i prodotti ai clienti) ho visto nascere una comunità molto eterogenea che, però, vive costantemente il problema di come dimostrare la propria competenza rispetto al primo che si presenta con un cannello arrugginito sul cantiere. Non ho la risposta a questo, altrimenti sarei il rappresentante più ricco del settore, ma penso che continuare a creare differenza alla fine faccia il nostro gioco. Più si cresce, più ci si differenzia più si riesce a combattere il pressapochismo e non bisogno aver paura di pubblicizzare anche i propri insuccessi, perchè anche questi, e maggiormente da questi, cresce l’esperienza personale. Inoltre essere in una comunità di informazione crea un corredo esperienziale invidiabile e utilizzabile ovunque.

Quindi vi invito a cercare un sistema per aiutarCI a comunicare queste nostre caratteristiche per migliorare sempre più il livello del settore e ghettizzare gli incompetenti ai margini del lavoro di qualità.


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Malte elastiche – siamo alla resa dei conti?


Nell’ultimo anno si sta vivendo una situazione particolare che sta mettendo in crisi di risultati una particolare tecnologia di impermeabilizzazione: le malte elastiche. Chi mi conosce sa che non ho mai avuto grande simpatia per tale tecnologia, soprattutto perchè si è voluto portarla fuori dal suo ambito originale della protezione nelle riprese di getto nel rispristino del calcestruzzo.

Nonostante le mie gufate sembra che la tecnologia si stia rivelando molto più fallace di quanto non si potesse immaginare inizialmente.

Innanzitutto cominciamo a togliere dei dubbi: come protezione nel ripristino del CLS funziona benissimo e non ha alcun tipo di problema; come impermeabilizzante di superfici orizzontali, invece, si sta rivelando un colabrodo. Prima che mi si lancino strali perchè “tu odi il mapelastic” (cosa vera tra parentesi), spiego che non è il prodotto in sé ad avere problemi, ma è nell’interazione con altri additivi di altri materiali che diventa fallace.

Facciamo un po’ di storia: quattro anni fa scrissi un articolo (impermeabilizzare un massetto alleggerito) dove feci una lunga ricerca per spiegare come mai una guaina bituminosa poteva invecchiare velocemente (in sei mesi era a fine vita) quando veniva applicata sopra un determinato tipo di massetto alleggerito (leggetevelo, non lo riassumo qui). Durante i quatto anni che sono passati ho avuto modo di parlare con molte persone (tecnici, chimici, fisici, muratori, impermeabilizzatori, etc.) discutendo sempre di questo problema e difendendo le mie teorie. Vengo a scoprire che non sono l’unico a pensare che i tensioattivi usati in edilizia possano creare problemi alle guaine bituminose.

Oramai è un dato assodato: i massetti alleggeriti contenenti tensioattivi danneggiano le guaine bituminose, a tal punto che i produttori di MBP proibiscono l’utilizzo di tali pacchetti; mentre i produttori di cementi…. tacciono! Proprio questo tacere ora si sta rivelando un’arma a doppio taglio! Infatti ci sono alcuni laboratori, alcune aziende, che stanno studiando il fenomeno per venirne a capo: i primi come tester di provini nati da cause in tribunale, le seconde per produrre materiali che possano resistere a tali aggressioni chimiche.

Rimane che senza un perchè chiaro e facile da capire non è possibile continuare a lavorare.

Arriviamo a ciò che è successo nell’ultimo anno: molte volte sono stato chiamato per analizzare terrazzi (anche molto grandi) che, nonostante l’applicazione di malta elastica secondo i criteri dettati dal produttore, perdono copiosamente. L’analisi di alcuni carotaggi mi ha portato a rilevare come, nonostante se ne vedessero i segni, fosse assente l’armatura richiesta e di come la malta elastica avesse assunto un comportamento molto strano, o ne trovavo delle lastre vetrificate completamente separate dal resto del pacchetto o trovavo della strana melma grigiastra inconstitente.
Ma come poteva succedere una cosa del genere? In primis mi sono semplicemente gongolato nel mio odio verso il materiale, ma più i casi si succedevano più questa cosa mi sembrava strana fino ad arrivare addirittura ad assolvere la tecnologia.

Ho ripreso in mano il vecchio articolo a causa di un progettista che mi chiese come impermeabilizzare un massetto alleggerito e, rinfrescandomi la memoria ho cominciato a pormi delle domande. Contestualmente ho avuto una chiacchierata molto importante con un chimico di un centro analisi. Dopo aver spiegato l’azione dei tensioattivi la discussione è subito andata sul passaggio successivo: a cosa servono i tensioattivi in edilizia oltre ad alleggerire i massetti o i sottofondi? Beh scopro che servono anche come emulsionanti per le malte cementizie di vario genere: calcestruzzi, colle per pavimenti, massetti premiscelati, intonaci etc.

Insomma il mio sospettato numero uno da un solo utilizzo mi è diventato un’epidemia! Comincio a cercare su internet qualche notizia e, a dire il vero, ne trovo poche, almeno notizie specifiche e non solo vaghi accenni: “l’industria edilizia, che consuma soprattutto tensioattivi economici per rendere più fluidi gli impasti di cemento, più porosi i rivestimenti ecc.” (nuovo dizionario di merceologia e chimica applicata – volume 7 – Hoepli editore – 1977)

Toh compare la parola “Economici”. Che strano…. i produttori di materiali di edilizia che usano prodotti economici! Non ci crederete ma ancora una volta mi sono lasciato trasportare dai miei preconcetti verso determinati prodotti ed aziende. Certo che usano quelli economici, visto che i tensioattivi non nascono certo per essere usati in edilizia, ma è semplicemente una scoperta moderna. Non essendo mai a contatto con sistemi delicati (cibo, cucine etc.) non è necessario che siano il massimo della raffinatezza o altro, devono solo fare il loro lavoro. Ma qual’è questo lavoro? Qui entriamo in qualcosa di più tecnico: i tensioattivi aumentano la bagnabilità o la miscibilità tra liquidi diversi.

tre caratteristiche: aumentano la bagnabilità, quindi migliorano la reazione con l’acqua, aumentano la miscibilità, quindi migliorano la capacità dei materiali di miscelarsi…. tra liquidi diversi, azz. non dei materiali, ma dei liquidi! Qui sorge il problema: come può un intonaco in sacchi da 25 kg essere liquido? Beh… aggiungendo acqua. Bene, ma quando un intonaco è posato non è più liquido, ma ben solido, ce ne rendiamo conto tutte le volte che ci appoggiamo al muro!

Non rimane che adoperare un metro di giudizio diverso e per metro intendo proprio un’unità di misura: ho cominciato a ragionare come fossi diventato microscopico, come se navigassi dentro una goccia d’acqua che sta cadendo dal cielo: la goccia cadendo su un pavimento cerca immediatamente un via di fuga (è un liquido non un solido) che spesso trova in microcrepe presenti tra una mattonella e l’altra o in stuccature saltate o semplicemente nella porosità di un materiale sbagliato che si è utilizzato nella pavimentazione. Continuando a percorrere la strada della nostra goccia arriviamo velocemente allo strato di colla sottostante le mattonelle, continua a correre fin quando non trova una barriera: l’impermeabilizzazione. Lo strato che incontra è una malta elastica (chiamatela con il nome commerciale che volete) che è stata stesa sul massetto pendenziato perfettamente. Il problema è che lì sotto la goccia non ha modo di correre libera verso la massima pendenza, ma rimane imprigionata nei canali costituenti in materiale più assorbente limitrofo all’impermeabilizzazione, ossia la colla. Questa colla, frutto di anni e anni di ricerca da parte di laboratori specializzati è composta da una miriade di elementi chimici, resine, cementi particolari, inerti sceltissimi…. e tensioattivi che ne migliorano la tixotropicità! Ahia….. il nostro indiziato speciale.

Facciamo un altro caso: uno splendido terrazzo che funge anche da tetto per un appartamento al piano di sotto, poniamo che al di sotto viva una famiglia emiliana che tutte le domeniche fa il brodo e cucina i fantastici tortellini tradizionali (o una famiglia russa che fa il borsh o quella che volete). Facendo il suo brodo la signora Maria (inventiamo un nome poco usuale) crea una valanga di vapore (come del resto il sig. Mario quando si fa la doccia e tutta la famiglia vivendo nella casa) che piano piano penetra attraverso la struttura del soffitto. La nostra molecola di vapore, come la precedente goccia di pioggia, comincia il suo viaggio attraverso la struttura prima dell’intonaco, poi dei travetti e delle pignatte, poi della caldana, poi del sottofondo alleggerito, poi del massetto fino ad arrivare alla barriera che non riesce ad attraversare, anche perchè la nostra molecola di vapore, nel frattempo, è diventata liquida a causa della condensa: l’impermeabilizzazione che questa volta è stata fatta con una malta elastica (sempre per distinguersi dal caso precedente) e lì si ferma.

In comune i due casi hanno una caratteristica: l’acqua liquida arriva a toccare e sostare sull’impermeabilizzazione. Non voglio sindacare sul fatto che ci sia più o meno acqua o su quale stato fisico ha e in che percentuale, ma sul fatto che c’è!
Due problemi: il primo immediato, abbiamo un ristagno d’acqua a contatto con uno strato impermeabilizzante che non regge il ristagno d’acqua (leggetevi le schede tecniche); secondo abbiamo dei materiali che sono maturati nel tempo che contengono dei tensioattivi che rimangono latenti al loro interno. che non possono più reagire con i materiali per cui erano stati inseriti, ma con l’acqua sì (ci ricordiamo che agiscono sui liquidi). Questi non sapendo cosa fare ed essendo stati riattivati, decidono di compiere di nuovo la loro opera: ossia rendere idrofili i materiali, sciogliere i legami della tensione superficiale dei materiali, sciogliere i materiali tra di loro e mantenerli miscelati… insomma li fanno regredire ad uno stadio in cui non servono più a nulla! Ovviamente quest’azione si concentra dove l’acqua ristagna, ossia sull’impermeabilizzazione, quindi è proprio questo strato il primo che viene aggredito.

Risultato: l’impermeabilizzazione si scioglie completamente o, se passa molto tempo e l’acqua evapora, si cristallizza in uno strato fragilissimo. E l’armatura che fine ha fatto? Beh se n’è andata! L’ambiente che si crea grazie ai tensioattivi azionati è particolarmente poco adatta alla povera fibra di poliestere che non regge più. Totale della situazione, le malte elastiche stanno rendendo i conti all’oste dopo meno dei 10 anni che la legge richiede come garanzia e il bello è che gli stessi produttori di malte elastiche sono coloro che hanno messo il loro killer all’interno dei materiali che gli sono di contorno (e non escluso anche nelle malte elastiche stesse). Insomma i nostri tensioattivi tanto utili nella posa dei materiali che utilizziamo per costruire le nostre case sono delle bombe ad orologeria per la struttura stessa. Ovviamente non vanno a degradare il calcestruzzo, ma sicuramente vanno a degradare lo strato impermeabile che lo protegge e protegge i nostri solai.

Non solo le malte elastiche sono a rischio, ma anche le guaine bituminose con le loro armature in fibra di poliestere e la loro massa grassa, lo sono anche i manti in TPO che vengono rammolliti nel tempo.

Come si può sistemare questa situazione: beh rifacendo le impermeabilizzazioni cambiando i materiali utilizzati; utilizzando sistemi impermeabilizzanti che non vengano attaccati dai tensioattivi; costruendo le giuste stratigrafie che vincolino l’acqua e il vapore esattamente dove vogliamo che resti.

Non c’è da preoccuparsi se non dell’incompetenza di chi ci fa i lavori o li progetta. Per le nuove costruzioni è il caso di valutare molto bene delle barriere al vapore vere e non dei teli bucherellati che hanno avuto la certificazione di B.V. Solo perchè ci si è fatta una norma a proprio uso e consumo. Chiediamo che i materiali siano capaci di resistere al ristagno dell’acqua e valutiamo se ci potranno essere conseguenze nell’interazione tra i singoli componenti della casa dove abitiamo: insomma chiediamo che siano dei veri professionisti dell’edilizia quelli che ci seguiranno e, lasciatemi lanciare un altro sasso nello stagno, non facciamo i tirchi. Se dobbiamo spendere migliaia di euro in un lavoro, spendiamone qualcuno in più in un consulente preparato che possa fare i nostri interessi e non quelli dell’impresa incaricata.

Addenda dopo alcune discussioni: Non ho citato appositamente l’errore di posa, l’incompetenza di operatori, progettisti e fabbricanti, non ho segnalato tutti i particolari che potrebbero effettivamente far funzionare o meno un sistema semplicemente per puntare il fuoco su un problema che a me pare molto importante. Non ho citato marchi commerciali o prodotti perchè ritengo che non sia un problema di prodotto singolo ma di sistema, oltre al fatto che non posso citare ciò che è coperto da segreto istruttorio o da segreto industriale di cui sono venuto a conoscenza in veste di consulente o per semplice fortuna.
Ritengo che il mio ragionamento sia giusto, ma non pretendo che lo sia! voglio, sostengo e pretendo che si discuta dell’argomento con mente aperta per risolvere una serie di danni che si stanno verificando ovunque e che porteranno non solo molto lavoro ma anche molta litigiosità nel settore.


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Come leggere la scheda tecnica delle membrane bituminose – determinazione della tenuta all’acqua – UNI EN 1928

Cominciamo a parlare di argomenti un po’ più spinosi: La tenuta all’acqua delle membrane bituminose (e sintetiche, la norma è la stessa)

Cominciamo con il dire che la norma specifica letteralemente che si parla di materiale “vergine” e “non posato”. Questo dovrebbe far pensare molto sulle garanzie che vengono date, ma pare, altresì, normale in quanto essendo materiali che vengono modificati durante la posa non è possibile creare un dato standard per tutti i posatori che, come sappiamo bene, hanno mani diverse e sensibilità diverse nel posare i materiali.

Tenendo conto di questa particolarità cominciamo con le definizioni.

  • LATO SUPERIORE: Il lato superiore delle membrane posate, solitamente la parte interna del rotolo
  • TENUTA ALL’ACQUA: Condizione delle membrane flessibili per impermeabilizzazioni se:
    1. In caso del metodo A: non si osserva alcuno scorrimento del filtro di carta sopra la superficie di un provino alla pressione dell’acqua applicata durante il periodo di prova totale.
    2. In caso del metodo B: la pressione massima iniziale non scende al di sotto del 5% del valore iniziale

Il METODO A si usa per le membrane non sottoposte a pressione (quelle di copertura ad esempio), il METODO B si utilizza per le membrane sottoposte a pressione.

METODO A: Il provino viene immesso in un macchinario che spinge acqua sul lato superiore. La caratteristica è che funziona al contrario di quello che ci si aspetterebbe, ciò per non creare problemi di pressione che non interessano: infatti l’acqua viene immessa in un recipiente che è chiuso superiormente dalla membrana da testare. Sopra la membrana si mette un foglio di carta ed una miscela di materiali che reagiscono al minimo contatto con l’umidità. Questo per capire se vi è o no passaggio di acqua anche minimo. Il test dura 24 ore con una pressione costante di 60KPa. Il test è superato se non vi è passaggio d’acqua alcuno!

METODO B: Questo metodo è similare al primo, ma in questo caso viene utilizzata una pressione specificata dal produttore che deve essere mantenuta costante per 24 ore con una tolleranza massima del 5%. Il test è superato se il provino rimane stagno.

Questi due metodi ci possono dire molto delle membrane bituminose: in primis ci parlano di assorbimento dell’acqua a contatto con la guaine. Se la guaina assorbe acqua può anche farla passare! se non la assorbe non la farà mai passare! Non solo, ci parla di come reagisce a contatto prolungato con l’acqua e se è in grado di sopportare le pressioni che è costretta a subire!

Ovviamente, come ricorda la norma, questo vale per il materiale vergine! Quindi attenzione: se il materiale viene usurato troppo nella fase della posa non potrà rispettare il parametro fondamentale per cui la si utilizza, se la guaina non viene manutenuta costantemente (togliendo sporco e controllando i sormonti nel tempo) non potrà dare garanzie di tenuta! il problema maggiore, quindi, è il posatore! tutto dipende da come la utilizza perchè è proprio lui che la va a modificare per applicarla!
bisogna ricordarsi le regole principali della posa: la fiamma deve essere adatta al materiale che si sta utilizzando, i sormonti non devono essere stuccati, ma rullati, la sfiammatura deve essere uniforme su tutta la superficie del lato inferiore della guaina etc.

Interessante diventa, questo test, quando si stressano le membrane! in test in sè stesso è uguale con le stesse caratteristiche e ci dice un “supera” o “non supera”, ma il bello è che la UNI EN 13897:2004 ci parla della tenuta all’acqua dopo l’allungamento.

Vengono fatti due provini, uno per senso di produzione del materiale e deve essere di 300mm e portati a -10°C di temperatura. Questo viene allungato alle seguenti tensioni: 1%, 5%, 10%. Sulla faccia superiore del provino viene messa una miscela di saponi. Viene attaccata una pompa che spinge l’acqua ad una pressione di 15KPa. Se dopo 60 secondi non sono visibili bolle sulla superficie del materiale il test è superato. IL test serve a valutare il comportamento delle membrane in situazione di forte stress fisico ed ambientale.

Se entrambi i test vengono superati possiamo essere sicuri che stiamo utilizzando un buon materiale che ha le giuste caratteristiche per ottemperare ai suoi doveri! sta a noi progettare e posare bene il sistema di impermeabilizzazione! E’ interessante, invece, sapere perchè non sempre si hanno entrambi i dati! beh. ovviamente non si può scrivere su una scheda tecnica che il materiale non ha superato il test…. e ovviamente è più facile non dare definizioni sulla singola norma.

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I tessuti non tessuti

Quante volte ci siamo trovati a guardare un capitolato dove vi è scritto: “TNT da 200 gr”. Ma di cosa si tratta? A cosa serve? E’ corretta la dicitura? Come possiamo prenderci la responsabilità di montare ciò che non conosciamo?… beh quest’ultima domanda di solito me la faccio solo io…… ma penso che i miei dubbi e le risposte che ho trovato possano servire a tanti per capire un mondo sconosciuto (tranne per i pochi addetti ai lavori) che siamo costretti ad utilizzare.

Grazie all’incontro avuto con l’ing. Bianchini ho scoperto, innanzitutto, a cosa servono i TNT: per prima cosa sono dei separatori tra strati! Il loro maggior uso è nel mondo agricolo e stradale, ma hanno anche uno scopo di antipunzonamento e protezione.

In base al loro utilizzo dobbiamo renderci conto che dobbiamo andare a ricercare alcune caratteristiche che sono peculiari e fondamentali per la realizzazione del lavoro.

Separazione: ha lo scopo di separare due strati di materiali facendo sì che l’acqua penetri attraverso la stratigrafia senza portarsi dietro i materiali di ogni singolo strato; in questo caso dobbiamo cercare la permeabilità verticale, ossia la possibilità di far passare l’acqua verso il basso e l’ Apertura dei pori, ossia quale diametro di materiale riesce a trattenere. Nel primo caso la scelta è facile: più è leggero il TNT più acqua passa e in scheda tecnica dobbiamo cercare il materiale con il valore più alto, nel secondo caso dobbiamo sceglierlo in base a ciò che dobbiamo trattenere e più piccolo è il valore migliore è il sistema di filtraggio! Ovviamente la scelta deve ricadere nel prodotto che mi assolve meglio il problema principale o il miglior compromesso tra il primo e il secondo dato! Notare che scrivere 200g non ha scopo in questo caso! Quindi è sbagliato!

Antipunzonamento: In questo caso abbiamo un TNT che ha lo scopo di proteggere ciò che abbiamo messo sotto di esso da un’azione puntuale; esempio tipico è il TNT utilizzato come antiradice. In questo caso abbiamo un dato che troviamo in scheda tecnica da utilizzare: la Resistenza al punzonamento. Questo valore ci dice quanti chili riesce a resistere il materiale prima che il punzone passi! il punzone che spesso troviamo sono le radici delle piante! Attenzione: le radici hanno la cattiva abitudine di non spingere solo verticalmente, ma di arrendersi quando la resistenza è troppa e cercare un punto debole! Dobbiamo allora ricordarci di saldare il TNT in sormonta per evitare che ciò avvenga. In questo specifico settore abbiamo anche una importante caratteristica che il TNT ha e crea nel tempo di esercizio: facendo passare l’acqua attraverso le sue fibre, ma trattenendo il terriccio al di sopra crea uno strato, detto “Cake“, che funge da filtro, trattenendo ciò che deve rimanere nello strato superiore! Ecco il motivo per cui è necessario che la stratigrafia di filtraggio e coltura dei giardini pensili sia studiata con i materiali opportuni.

Protezione: Questo è il campo in cui i TNT  vengono usati a totale protezione della stratigrafia sottostante, spesso e volentieri un sistema impermeabile come una guaina sintetica o bituminosa. Lo troviamo nel caso di tetto zavorrato, di tetto rovescio, di copertura pesante. Nel tetto zavorrato e nella copertura pesante, spesso, il TNT ha la funzione di proteggere l’impermeabilità della struttura. Quale dato dovremmo considerare allora? Sicuramente non ci interessa la permeabilità verticale, sicuramente non ci interessa l’apertura dei pori e neanche la resistenza al punzonamento (prima di gridare allo scandalo continuate a leggere), ma ci interessa l’Efficienza protettiva. Si tratta di un test che dimostra come quel dato TNT sia in grado di proteggere lo strato sottostante dalle deformazioni dovute alla pressione dello strato sovrastante! In soldoni: se sopra una guaina bituminosa metto un massetto che spinge con un suo peso, dobbiamo impedire che questo deformi la guaina fino a romperla; così come se usiamo una guaina in un tetto zavorrato con ghiaia, dobbiamo scegliere un TNT che impedisca alla ghiaia di rompere la guaina sottostante. Nei sistemi sintetici abbiamo anche l’utilizzo di un TNT che funge da strato di scorrimento sotto il telo impermeabilizzante: in questo caso non abbiamo necessità di altro dato che lo spessore! questo serve solo ad impedire che la guaina venga deformata o rotta da eventuali ostacoli posti nel piano di posa.

I TNT vengono utilizzati come strato drenante anche nelle massicciate dei canali, dove vengono, spesso, ricoperti gli argini da sassi. In questo caso ci interessa utilizzare un dato particolare: il Test a caduta: possiamo così sapere come si deformerà il TNT dopo avergli scaricato dall’alto i sassi di copertura.

Non dimentichiamo mai  che le schede tecniche devono essere complete e dichiarare con quale materiale è fatto il TNT (PP, PE, a fiocco, in filo continuo, etc.) e che in base a questo sappiamo anche quanto durerà nel tempo integro e funzionante.

In ogni caso dobbiamo ricordare che i TNT vengono utilizzati per uno scopo e ne abbiamo di tante forme, colori e materiali, ma sempre hanno bisogno di avere un dato che li accomuna e che ci dice quali sono i suoi valori importanti. Quindi quando vi diranno che dovrete usare un TNT da 200g ricordate al progettista che si deve informare bene su cosa vuole, perchè detto così non ha detto proprio nulla.